"Cose da uomini"

Nullatenenti o piene di debiti: Aurelia, Adele e le tante vittime di violenza economica

La guida e gli incontri - Prosegue il lavoro di Banca d’Italia, Consiglio Nazionale del Notariato e associazioni locali per insegnare alle donne come proteggersi. I numeri sono ancora drammatici: il 40% delle italiane non possiede un conto corrente. E il regime di comunione dei beni risulta ancora il più diffuso

31 Maggio 2023

“Queste son cose da uomini!”. Quante volte se l’è sentito dire Aurelia P, che proveniva da una famiglia benestante con un piccolo patrimonio da gestire, prima che un marito-padrone la privasse di tutto riducendola a una condizione di sottomissione pronta a sfociare in violenza fisica. La sua storia la racconta Anna Clorinda Ronfani, vicepresidente del Telefono Rosa Onlus nella giornata in cui ha fatto tappa a Torino la carovana itinerante di un pionieristico progetto di emancipazione femminile che da due anni viaggia per l’Italia raccontando il fenomeno della violenza economica, un fenomeno subdolo e poco visibile che spesso anticipa quella fisica vera e propria. Tanto che non si denuncia, solitamente si “confessa”. Magari negli studi degli avvocati e dei notai, quando ormai è troppo tardi. Eppure è diffusissimo, e lo certificano due numeri: il 40% delle donne in Italia ancora oggi non dispone di un proprio conto corrente e il 37,8% di quelle che si rivolgono a un centro antiviolenza lo fa anche per casi di violenza economica, un retaggio culturale e un tabù sociale alquanto duri da spezzare. Per questo nel 2021 Banca d’Italia, il Consiglio Nazionale del Notariato insieme a circa 250 associazioni locali per la parità di genere hanno promosso un progetto di educazione finanziaria con una prima guida (“Conoscere per proteggersi”) e 33 appuntamenti nelle principali città. Gli ultimi si terranno a Napoli, Padova e Prato entro fine anno.

Grazie a questa iniziativa se ne parla di più, ma la strada da fare è lunga. Secondo la classifica 2022 sul gender gap, l’Italia si posiziona al 62º posto su 146 Paesi monitorati, con un miglioramento di 0,001 punti rispetto all’anno precedente che le fa occupare la stessa posizione del 2021, dopo l’Uganda e lo Zambia, 25esima su 35 Paesi d’Europa. Di questo passo, l’Italia impiegherà altri 132 anni a colmare il divario. A Torino è stata citata la casistica dell’associazione “Donne in rete” che raccoglie oltre 80 centri antiviolenza in tutta Italia: una donna su tre che vi si rivolge è a reddito zero (32%) e meno del 40% può contrare su un reddito sicuro.

Le ricadute di questi numeri astratti sono storie drammaticamente concrete. Come quella di Aurelia cui, siccome “sono cose da uomini”, il marito aveva intestato delle attività “per motivi fiscali”. Le ha chiesto “sulla fiducia” di firmare cambiali e ipoteche, finché s’è ritrovata senza alcun bene intestato, coperta di debiti e rincorsa dai creditori, mentre lui attribuiva a lei la colpa del “disastro economico” della famiglia. “Sono le storie che ascoltiamo anche nei Centri Antiviolenza, da donne diverse per condizioni economiche, livelli di istruzione e aree geografiche”, spiega l’avvocata Ronfani che snocciola numeri impressionanti: solo nel 2022, nel Piemonte, dove l’associazione compie a giorni 30 anni, sono stati gestiti 780 casi e il 30% riguardava proprio i “maltrattamenti economici”. Nel 70% dei casi le vittime sono donne italiane, nel 62% la violenza è agita da mariti, conviventi e partner. “Sono comportamenti molto diffusi ma non sono riconosciuti, anzi sono socialmente accettati e quindi vengono raramente denunciati” spiega l’esperta. Le stesse vittime stentano a riconoscerli come vere e proprie aggressioni, le vivono semmai come limitazioni ai loro diritti. “Non le dico quante donne si trovino oggi sepolte sotto cartelle esattoriali dell’Agenzia delle Entrate per multe stradali senza neanche avere la patente: sono solo intestatarie dell’auto che usa il marito”.

Altre storie le racconta Alessandra Mascellaro, consigliera nazionale, coordinatrice della commissione pari opportunità del Notariato Nazionale, nel cui Consiglio nazionale (che è l’organo politico di categoria) si contano peraltro solo tre consigliere donne su venti. “Potrei scrivere un libro partendo dal silenzio”, racconta. “Quando si chiude la porta dello studio è come se cadesse un velo e le donne si raccontano, un po’ come se ci consegnassero la loro valigia di una vita, il loro fardello diventa nostro”. Quello di Maria Adele, ad esempio. “È arrivata qui per la pubblicazione del testamento del marito. Le aveva lasciato solo l’usufrutto di tutti i beni trasferendo la nuda proprietà ai nipoti. Scoppia in lacrime, racconta che era l’ennesima mortificazione che le infliggeva, non rendendola piena proprietaria di nulla di cui potesse disporre”. Si era sposata in giovane età, non aveva mai avuto un conto corrente e per qualunque cosa era il marito a fornirle la provvista necessaria, centellinando i soldi e sottoponendola a duri interrogatori su ogni voce dello scontrino del supermercato, sempre sbandierando quanto fosse “fortunata” perché lui “non le faceva mancare nulla”.

Varca lo studio un’altra signora, da sola, ha un foglio in mano. Spiega che un suo amico vuol farglielo sottoscrivere: era la bozza di una procura generale. Cercando di far emergere i suoi dubbi, il notaio scopre che “l’amico” in realtà la soggiogava e si approfittava di lei da anni. La procura sarebbe stata l’apice di una situazione già viziata di prestiti pretesi facendo leva sulla sua sensibilità. Difficile uscirne, ma anche impedire di cascarci dentro. La comunione legale – spiega Mascellaro – è il regime patrimoniale ordinario e viene dato per scontato, tanto che le persone spesso non sanno esattamente cosa significhi. “Cerco sempre di consigliare alle donne e alle coppie di optare per il regime della separazione dei beni, ma questo deve essere sempre il frutto di una precisa scelta all’atto del matrimonio (o anche successivamente, con atto notarile)”. Spesso la donna vorrebbe, ma non osa chiedere e quell’opzione passa sotto silenzio. “Spiego allora che non è un atto ostile, che non significa non essere sposati ma che le obbligazioni assunte dall’uno non ricadono sull’altro. Inutile dire da chi trova immediata resistenza questa opzione. Come se chiedere di avere una propria autonomia economica o anche solo un conto corrente nel 2023 fosse un segnale di sfiducia, la negazione della virile promessa maschile di occuparsi della famiglia. Anche quando non succede”.

Si parla ora di introdurre per legge l’educazione finanziaria nelle scuole. “Sarebbe un primo passo per alfabetizzare i giovani che escono dal liceo e si affacciano al lavoro senza sapere la differenza tra un assegno bancario e un assegno circolare. Non si tratta di imporre altri studi ma di fornire elementi di consapevolezza utili alla vita di tutti i giorni e a contrastare fenomeni di subalternità che purtroppo fanno parte della nostra cultura sociale”. Il presidente del Consiglio notarile di Torino, Maurizio Gallo-Orsi, lancia un appello: “I notai italiani non danno appuntamenti solo per firmare compravendite e procure, sono lì anche per dare consigli gratuitamente alle persone che hanno dubbi o si trovano già in difficoltà, specie alle donne che scontano questi retaggi. La nostra categoria su questo ha fatto un grande passo avanti, l’indipendenza economica attiva è la prima garanzia di libertà individuale e di sviluppo sociale”.

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