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È già in Padania il “ground zero” della megasiccità

Mix di fattori - Nella pianura emergenza ormai cronica. Meno piogge, meno neve, terra più arida: la natura non “funziona” più. Va rivoluzionato il sistema della raccolta idrica. L'articolo integrale su FQ MillenniuM in edicola da sabato 13 maggio

12 Maggio 2023

Nonostante le alluvioni della Romagna, gran parte della Pianura padana occidentale, tra Torino, Alessandria e Piacenza, rimane ancora in forte deficit idrico. Dai Pirenei alle Dolomiti la carta della siccità europea del servizio satellitare Copernicus mostra una fascia di colori giallo-rossi. È dalla fine del 2021 che su questa regione piove pochissimo. Il polo del secco in Italia è il Piemonte. A Torino, dove disponiamo di una delle più lunghe serie nazionali di misura delle precipitazioni iniziata nel 1802, sono caduti nei 17 mesi da dicembre 2021 ad aprile 2023 solo 367 mm, il 32 per cento della media per lo stesso periodo che dovrebbe essere di 1150 mm. È la siccità peggiore in 220 anni, e spazza via il record precedente sullo stesso intervallo di 17 mesi, pari a 542 mm nel 1816-18, causa della “carestia che aveva ridotto a miserevole stato il Piemonte”, come narra don Giovanni Bosco nelle sue Memorie biografiche. Ma allora si trattava di siccità fredde, quelle di oggi sono siccità calde.

L’acqua evapora sempre più in fretta

Sempre a Torino, ma è così pure in tutta Europa occidentale, la temperatura media del 2022 è stata la più elevata di sempre generando il record assoluto di annata caldo-secca. Il 1817 ebbe invece una temperatura media di 2,4 gradi inferiore al 2022.

Più fa caldo più l’acqua evapora in fretta dai suoli e dalla vegetazione e meno dura la neve in montagna. Quindi lo stress idrico per l’agricoltura e le attività umane a parità di pioggia peggiora con l’aumento della temperatura. Di neve sulle Alpi ne è caduta pochissima sia nell’inverno 2021-22 sia nel 2022-23, con il risultato che la riserva idrica disponibile per i mesi estivi è stata minima; a metà aprile 2023 il deficit sulle Alpi era del 66 per cento e solo sulle Alpi Giulie nevicate di primavera hanno portato il manto nevoso a superare i tre metri. Ed è così che il Po ha visto già nel luglio 2022 la sua portata minima storica di 104 metri cubi al secondo, circa un decimo del normale, il che ha permesso alle acque salate dell’Adriatico di penetrare nelle terre del delta fino a 40 km, il cosiddetto “cuneo salino” che ha reso salmastri pozzi e canali, disturbando agricoltura e acquedotti tra Rovigo e Ravenna.

L’attribuzione di questa situazione meteorologica anomala ai cambiamenti climatici generati dalle attività umane è complessa. Da un lato l’aumento della temperatura è un sintomo inequivocabile del riscaldamento globale e rende pertanto inedita la situazione combinata di “siccità calda” a scala plurimillenaria. Invece dal punto di vista della durata del periodo senza piogge significative è più difficile avere un riferimento certo precedente alle misure pluviometriche. Esistono numerose cronache qualitative, ma si sa che la descrizione soggettiva in mancanza di strumenti di osservazione può risultare ambigua.

Il riscaldamento ha stravolto le correnti

Prendiamo di nuovo la siccità fredda del 1816 (era l’anno senza estate a causa dell’eruzione del vulcano Tambora) per la quale abbiamo sia i dati pluviometrici sia la cronaca del don Bosco nelle contrade astigiane: “I raccolti dell’annata andarono falliti per il gelo sopravvenuto fuori di stagione e per una terribile ed ostinata siccità. I campi, ove erano state seminate le biade, i prati, gli alberi di frutta, presentavano al riguardante uno spettacolo di desolazione. […] Si trovarono persone morte nei prati colla bocca piena di erba, con cui avevano tentato di acquietare la rabbiosa fame”. (…).

(…) Anche sul piano della scarsità di precipitazioni è possibile che il riscaldamento globale abbia indotto disturbi nella circolazione generale delle correnti atmosferiche, deviando le perturbazioni atlantiche dal loro corso consueto e mandandole a scaricare pioggia in altre regioni del mondo. I motivi, ancora in corso d’indagine, potrebbero essere legati al riscaldamento delle acque oceaniche e alla riduzione della superficie del ghiaccio di banchisa nell’oceano Artico, processi che vanno a interferire con la formazione dei sistemi di alta e bassa pressione che pilotano i fronti nuvolosi. Siamo forse al cospetto di “megasiccità mediterranee”?

La definizione di megasiccità (megadrought) è nata in Nord America: si tratta di eventi siccitosi “persistenti, della durata di più anni, che risultano estremi per severità, durata ed estensione spaziale”. Possiamo dire che in Europa le megasiccità sono rarissime o sconosciute, ma potrebbero diventare un fenomeno via via più frequente con il peggiorare del riscaldamento globale. Una strategia di adattamento alla scarsità idrica anche in regioni prima considerate ben dotate d’acqua diviene dunque prioritaria, per non farci trovare gravemente impreparati: da nuovi invasi alle cisterne per la raccolta domestica dell’acqua piovana, da un’irrigazione più efficiente delle colture agrarie a minori sprechi per uso civile, come le piscine e i lavaggi auto. (…)

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