"La classe è morta"

Carla Cerati e le immagini che aiutarono Basaglia a chiudere i manicomi

Scatti e parole - Arriva in libreria un volume che riattualizza il tema dell’universo manicomiale nella forma di trattamento sanitario obbligatorio e nei reparti di osservazione psichiatrica delle carceri

Di Pietro Barbetta
30 Aprile 2023

“Io sono convinta che se le nostre fotografie sono servite ad aiutare Franco Basaglia per realizzare una legge per far chiudere gli ospedali psichiatrici, così come erano intesi allora, vuol dire che la forza di un’immagine è ben diversa dai testi scritti. Le parole si possono smentire! Le immagini no!”. Nel 1969 Carla Cerati pubblica, con Gianni Berengo Gardin, “Morire di classe”, un volume fotografico che documenta, per la prima volta, la condizione manicomiale. Nel libro, le immagini non sono firmate, e non è specificato neppure a quale istituto psichiatrico si riferissero. Quegli scatti, però, aiutano Franco e Franca Basaglia a rivoluzionare l’assistenza psichiatrica. Il 12 maggio prossimo arriva in libreria, per Mimesis Edizioni, “La classe è morta. Storia di un’evidenza negata”, a cura di Pietro Barbetta, con la prefazione di John Foot / postfazione di Silvia Mazzucchelli. Un volume che prova a riattualizzare il tema dell’universo manicomiale nella forma di trattamento sanitario obbligatorio e nei reparti di osservazione psichiatrica delle carceri. Ne pubblichiamo uno stralcio tratto dall’introduzione di Barbetta.


Forse, di questi tempi, Carla Cerati andrebbe a fotografare i ragazzi che inforcano la bicicletta e il monopattino con lo zaino pieno di pizze a domicilio, oppure i call center pieni di laureati in filosofia, gli stagisti minorenni delle scuole professionali, che si feriscono, si ammalano e muoiono di incidenti sul lavoro, i luoghi d’insediamento dei richiedenti asilo, ma anche, se potesse avere accesso, quei servizi psichiatrici di diagnosi e “cura” e le fascette appese ai lettini. Perché oggi il capitalismo, tanto contestato, è morto insieme al suo antagonista. Oggi siamo in pieno regime schiavista e il manicomio è territorializzato: centri nomadi, guerre, invasioni, nuovi virus mortali, oligarchi senza dignità, capi di stato sociopatici e la massa – indica Elias Canetti con tono amaro – aderisce sempre all’ideologia del potere: massa e potere sono consustanziali.

Eppure, oggi questa riflessione non ci basta. Di fronte alla morte della classe, dobbiamo chiederci come mai, nel cuore della civilizzazione, riesploda il desiderio di oppressione, il desiderio di ingiustizia a livello di massa. Come mai la massa vuole un capo che la guidi, qualunque cosa dica, purché venga detto con veemenza. Oggi Canetti sembra avere smentito Marx: non è la classe – questo soggetto collettivo che si fa soggetto politico – a cambiare il mondo, a renderlo giusto. Questa classe è morta, è stata sconfitta dalla massa, che nella sua esistenza informe desidera essere oppressa, comandata da chi rappresenta un’ideologia perfetta, mortifera. Il 1969, l’anno di Morire di classe, è lo stesso anno dell’esplosione dell’Autunno Caldo a Milano. L’anno delle manifestazioni della classe operaia, dei metalmeccanici, dei chimici, dei tessili, ecc. che sfilavano e sfidavano piazza Duomo e le abitazioni dell’alta borghesia. Invero esisteva la “maggioranza silenziosa”, così definita a destra, o la “piccola borghesia in via di proletarizzazione”, nella definizione speranzosa della sinistra. Anche la borghesia fu una classe. La descrivono Pier Paolo Pasolini in Teorema, Michelangelo Antonioni in Deserto rosso, Luciano Bianciardi in La vita agra. Ermanno Olmi, ne Il posto, mostra il sistema delle meschine possibilità di carriera di un giovane campagnolo che diventa colletto bianco. La grande borghesia, l’altra classe, ha persino spunti culturali, come le grandi famiglie Pirelli, Feltrinelli, Olivetti, Crespi, ecc.

La morte della classe ha colpito anche questi ceti. Oggi nessuno produce più rampolli che scrivono romanzi o fondano case editrici; nessuno pensa di creare nuovi centri studi. L’università da luogo di pensiero si è trasformata in luogo di computazione elettronica. Oggi non si può più morire di classe perché la classe è già morta, anche quella dominante e, insieme alla classe, è morta anche la sua coscienza: quella del proletariato – consapevolezza di classe – quella della borghesia – coscienza morale. Oggi il titolo da usare potrebbe essere Morire di razza e forse Carla Cerati, come accade alle fotografe che seguono le sue orme, produrrebbe sequenze visive di volti di donne venute in Europa per proteggersi dalle lapidazioni, dai soprusi familiari, dai maltrattamenti e dalle conseguenze della guerra. Viseità altrettanto incredule per quanto accaduto loro prima e durante il viaggio, ma anche per quel che accade nella democratica Europa dei respingimenti, dei maltrattamenti, delle discriminazioni razziali. Qui, oggi, presso di noi, sembra tornato in auge il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane di Gobineau, testo che ebbe la massima influenza sulla psichiatria coloniale.

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