L'appello

L’Europa è tra i principali finanziatori della deforestazione globale: serve una norma

Nel 2020 oltre un milione di persone di cittadini dell'Unione, tra cui 75 mila italiani, hanno chiesto all'Ue di varare una legge per vietare i prodotti legati alla distruzione delle foreste e alla violazione dei diritti umani. Ma il testo è fermo a causa della forza delle lobby

Di Martina Borghi, responsabile campagna foreste di Greenpeace Italia
3 Agosto 2021

Ogni due secondi, nel mondo, un’area di foresta grande come un campo da calcio viene rasa al suolo, soprattutto per produrre soia destinata ai mangimi e per fare spazio a pascoli di bovini. In Amazzonia, in particolare, la deforestazione è sempre più grave: secondo i dati diffusi dal sistema DETER dell’Istituto brasiliano di ricerca spaziale (INPE), nel solo mese di giugno 2021 abbiamo perso un’area di 1.062 chilometri quadrati, per un totale di 3.610 chilometri quadrati di foresta andati perduti nei primi sei mesi del 2021, il 17,1 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2020.

L’Unione europea è uno dei principali consumatori e finanziatori di prodotti provenienti dalla distruzione globale delle foreste e degli ecosistemi: ogni giorno, sugli scaffali dei nostri supermercati arrivano prodotti di uso comune – dai cioccolatini alla carne, dagli shampoo alla carta – ottenuti con la distruzione di ecosistemi preziosi e ricchi di biodiversità. Ma qualcosa sta cambiando: le persone sono stanche di essere complici inconsapevoli di questa devastazione e, anzi, vogliono partecipare al cambiamento.

Nel 2020, infatti, oltre un milione di persone, tra cui 75 mila italiane e italiani, ha partecipato alla più ampia consultazione pubblica europea su questioni ambientali svolta finora, per chiedere all’Ue di garantire con una normativa stringente che nelle nostre case non arrivino più prodotti legati alla distruzione delle foreste e alla violazione dei diritti umani.

La pubblicazione della prima bozza della normativa era inizialmente prevista entro la metà dell’anno, ma è stata prima posticipata all’autunno, e poi ulteriormente rinviata al 22 dicembre, come si apprende dalla programmazione autunnale della Commissione resa nota di recente.

A rallentare il processo di elaborazione della nuova normativa europea contribuisce soprattutto il potere di lobby di numerose aziende con sede in Ue e negli Stati Uniti, che traggono profitto dalla distruzione delle foreste, producendo e commerciando materie prime e prodotti legati alla deforestazione e alla violazione dei diritti umani. Una recente analisi dell’Unità europea di Greenpeace ha mostrato come queste aziende stiano ostacolando il processo, esercitando forti pressioni sull’Unione europea per indebolire la normativa e limitare gli impatti sul proprio business, contrariamente a quanto chiesto dai cittadini europei. A chi darà ascolto la Commissione?

Il ritmo al quale perdiamo biodiversità nel mondo ci impone di agire con urgenza, senza ulteriori ritardi: nel 2019 il Gruppo intergovernativo per la Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (IPBES) ci avvertiva che sono un milione le specie animali e vegetali che rischiano l’estinzione, più che in ogni altro momento nella storia umana. Se non agiamo con urgenza per proteggere foreste e altri ecosistemi di grande importanza, la sesta grande ondata di estinzioni di massa non potrà far altro che peggiorare.

Perché sia efficace, la normativa Ue per salvare le foreste dovrà prevedere una lista, modificabile nel tempo, dei prodotti e delle materie prime legati alla deforestazione, a partire da carne, pellame, soia, mais, olio di palma, legno e derivati, cacao, caffè e gomma. Alle aziende che hanno sede e/o operano nell’Ue dovranno essere imposte misure per garantire tracciabilità e trasparenza delle filiere (“dovuta diligenza”), in modo che sia possibile risalire all’origine dei prodotti venduti in Europa e verificare in modo indipendente la loro conformità a rigorosi criteri di sostenibilità. La “dovuta diligenza” dovrà essere responsabilità anche degli istituti finanziari e bancari autorizzati ad operare nell’Ue, così da promuovere pratiche commerciali non ambigue e garantire che non vengano più finanziate attività che non soddisfano alti requisiti di sostenibilità. La normativa dovrà prevedere anche sanzioni sufficientemente severe per scoraggiare le violazioni.

Per oltre un decennio, e nonostante l’accordo sul clima di Parigi, gran parte dei governi nazionali dell’Ue ha rifiutato di accettare le proprie responsabilità riguardo alla distruzione delle foreste e degli ecosistemi. Con questa normativa potremmo finalmente invertire la tendenza.

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