Addio

Grazie Quino per aver creato quella “rompina” di Mafalda

È morto ieri il celebre fumettista argentino, “padre” di uno dei personaggi più amati delle strisce di fumetti. I suoi lavori sono stati tradotti in tutto il mondo

1 Ottobre 2020

“A un certo punto mi sono veramente stancato. Non ce la facevo più a dire tutto quello che non andava, a passare il mio tempo in un continuo atteggiamento di denuncia”. Così Quino nel 1973 sulla sua decisione, dopo dieci anni di successo, di non disegnare più Mafalda. Contribuì l’arrivo dei Colonnelli, affabili umanisti che sganciavano gente dagli elicotteri. La decisione di Quino ne fu solo rafforzata, l’aveva presa prima. Finiva lì una delle più amate saghe di denuncia sociale (grazie, Linus, a nome di tutti i pischelli dell’Italietta asfittica di allora, o Topolino o niente, affamati di altre immagini, altri mondi, altri umorismi, come Quino). Una strip, Mafalda, su cui si sono formati tanti disegnatori satirici, compreso il sottoscritto, un po’ più tifoso di B.C. di Johnny Hart, ma ugualmente accanito lettore delle storie della ragazzina ribelle, arguta e spaventosamente rompicoglioni, una che avercela per figlia rischiavi la dermatite da stress, dovevi stare attento a respirare perché ti faceva subito un sermoncino sull’inquinamento atmosferico e guai se replicavi, la battuta migliore era invariabilmente la sua.

Sì, mi era un po’ antipatichella, Mafalda. Così politically correct, diremmo oggi, così pronta a fare la morale al mondo e le bucce ai discorsi degli altri, i grandi, corrotti da compromessi, cinismi e indifferenza. Saccentina, diciamocelo, Mafalda. Solo che Mafalda aveva ragione. Solo che Mafalda faceva ridere. Solo che Mafalda erano disegni magistrali nella loro essenzialità. Come deve essere, secondo la mia modesta, ma anche no, opinione, una vera striscia satirica, quelle di cui la gente si innamora e si ricorda a vita: niente affreschi caravaggeschi , una strip di satira è soprattutto scrittura e pochi e semplici tratti, massima espressività al servizio di un testo forte. E così, il me anarcoide di allora davanti a Mafalda storceva il nasino ribelle di fronte alle battute edificanti, annusandoci perfino un alito degli stremanti ammonimenti paterni (comportati bene, sii rispettoso, non picchiare per primo, studia e tieni il mondo in ordine); mentre invece il me meno intriso di pirotecnie generazionali (comprenderete, i Rolling Stones cantavano Street Fighting Man e a Parigi succedeva il ’48, anzi il ’68), il me equipaggiato con un decente tot di maturità vedeva con chiarezza l’altissima qualità di quelle vignette, riconoscendoci l’inconfondibile mano di un Maestro, di quelli che ne nascono come i capelli sulla testa di un semicalvo, ricavandone strutturanti lezioni tecniche mai più dimenticate, spesso esercitate, sì, anche un po imitate, grazie, Quino l’argentino, mi hai dato molto, specie un originale con dedica. E vai con l’aneddotica: tavolata di autori a Treviso, allora i Comuni avevano quattrini, organizzavano Festival della Satira da cui tornavamo gratificati nell’Ego, ruttando e con ceste piene di salumi e olio tartufato. Quinoquellodilinus ma proprio lui era seduto di fronte a un semisconosciuto disegnatore romano emozionato. L’emozionato romano ce prova, appena Quinoquellodilinus smette di masticare, si incunea nel tempo morto e chiede il disegnino. E Quino gli fa tre Mafalde. Cioè una (non era contento delle prime due). Mi chiede pure se mi piace (e che dovevo dì?). Con un gran sorriso mette la dedica dopo che l’ho approvato. Il refrain è già sentito lo so, ma sempre valido: i veri grandi non se la tirano mai. Ho iniziato questo scritto messo giù di getto (il fattaccio è appena successo) con la dichiarazione di fine corsa di Quino. Non ce la faceva più a “passare il suo tempo in un atteggiamento di denuncia”. Questo me lo ha reso più vicino. So di cosa parla. Stare sempre con la baionetta innestata in difesa dell’etica quando vorresti solo andare a fare i tuffi. Sono belli, i tuffi. Ma, come si dice alla fine dei film, è uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve fare. Quinoquellodilinus lo ha fatto benissimo.

Il ricordo
“Ciao amico, non ti stai perdendo niente…”

Se ne è andato anche Quino. Tutti scriveranno il padre di Mafalda. Del resto i padri se ne vanno, ma i figli rimangono e Mafalda rimane. Perciò non mi va di salutarlo disegnando una banale Mafalda con la lacrima. Non disegnerò niente. Solo gli dico “addio compagno di matita”. D’altronde te ne sei andato al momento giusto. Temo sia rimasto poco spazio in questo tempo crudo e ferocemente conformista, banale come una Mafalda che piange, per la fantasia, il sorriso e pure per il ghigno allegro. Caro Quino, temo tu non ti stia perdendo niente. Ciao.

Vauro

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