Caro Marco

25 Aprile 2020

Caro Marco, il 25 Aprile è la festa della Liberazione, e anche della Costituzione a cui abbiamo dedicato fin dal primo numero il nostro giornale. Rappresenta dunque un’occasione per chi fa il nostro mestiere: ricordare l’importanza dell’articolo 21 della Carta, presidio di quella libertà di stampa e di opinione che va difesa sempre e da ogni attacco. Vorrei farlo alla larga da quella retorica bolsa e pontificante che entrambi detestiamo, aiutandomi se ci riesco con il sorriso amaro dell’ironia.

Quando, un secolo fa, facevo il mozzo nelle sentine del Corriere della Sera, il mio sogno (come tutti quelli alla catena) era di diventare un giorno direttore. Non certo della prestigiosa testata: presuntuoso sì, ma non del tutto stupido, consideravo modelli inarrivabili gli Spadolini, Ottone, Cavallari, Stille e le altre divinità che in quegli anni avrebbero poggiato le loro terga sulla cattedra adornata dalla maestosa (e forse ancora intonsa) Enciclopedia Treccani.

Oggi, se leggo che qualche bravo e stimato collega è stato nominato direttore di un grande quotidiano, vorrei stringergli commosso la mano e dirgli che mi dispiace tanto. Tra un momento cercherò di spiegarti il perché. Prima di tutto però grande rispetto e stima, neanche a dirlo, per chi è stato chiamato alla guida di Repubblica e Stampa, firme di assoluto valore (con Massimo Giannini ho sempre sentito una certa sintonia di idee). Anche se non mi è chiaro per quale motivo sia stato cacciato Carlo Verdelli che bene aveva fatto, con il sostegno della redazione e dei lettori.

Per carità, siamo nella normalità dei rapporti tra proprietà e direzione, e pur cercando di farmi i fatti miei ho provato, ti confesso, un certo smarrimento quando per saperne di più mi sono inoltrato, incoscientemente, nel comunicato dell’editore. Infatti, dopo qualche passo mi sono perso tra Cir, Gedi, Exor, Giano Holding, Mercurio, Sia blu. Poi, bloccato del tutto quando ho cercato di capire (ma non ho la testa per certe cose) come fa Exor ad avere il 60,9% del capitale e il 63,21% dei diritti di voto, con rassegnato sconforto ho atteso che Giano o Mercurio mi conducessero all’uscita.

Improvvisamente ho avuto come un’apparizione: non era la Madonna, ma un giovane uomo dall’aria cordiale e sorridente. Si chiama John Elkann mi ha spiegato Gedi, ed è il presidente molto umano di questa meravigliosa conurbazione di dividendi che a te (a me) che non capisci niente appare come un dedalo inestricabile di accomandite e società di diritto. E dove posso trovarlo, chiesi timidamente? Ad Amsterdam, e anche a Londra, e anche negli Stati Uniti, disse Sia blu con la soavità di chi deve spiegare a un non vedente i misteri della Luce: in quel preciso istante finalmente compresi il fenomeno della transustanziazione dell’editore.

Qui, caro Marco, vengo al punto. Che mestiere è diventato oggi quello del direttore che ogni giorno, oltre alla fatica di fare il giornale, di combattere con la crisi delle edicole, di confrontarsi con le giuste preoccupazioni dei colleghi, non sa più a quale holding votarsi? Lo chiedo a te con il leggero rimorso di chi cinque anni or sono ti passò il testimone sapendo che saresti imbiancato precocemente. Ma anche con la serena consapevolezza che il nostro amato brigantino Fatto Quotidiano, non sarà mai di proprietà di alcune figure mitologiche con triplo domicilio fiscale. Questo, come vogliamo chiamarlo, apologo della realtà mi è sembrato il modo più giusto per celebrare il mio, il nostro, 25 Aprile.

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