Fanghi tossici, i rischi restano nei campi

15 Gennaio 2020

È passato più di un anno da quando il ministro Costa, incalzato dalle Iene, promise solennemente un intervento immediato (“ci stiamo già lavorando”) per rimediare alla vergogna dell’art. 41 del decreto Genova che, in sostanza, in contrasto con la Cassazione, autorizzava lo smaltimento sui terreni agricoli di fanghi da depurazione pesantemente contaminati da sostanze tossiche quali idrocarburi, diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico.

Ma l’art. 41 è ancora là e nel frattempo ha fatto e sta facendo danni gravissimi all’ambiente e alla salute. In questo anno, infatti, si sono moltiplicati gli interventi della magistratura per arginare l’utilizzo dei terreni agricoli, specie di Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna, come discariche di rifiuti tossici mascherati da fanghi di depurazione consentiti dall’art. 41. Con illeciti profitti di milioni di euro, in cui, ovviamente, si è inserita la criminalità organizzata; e anche con il coinvolgimento di qualche esponente governativo, come nel caso della Sesa di Este (Padova).

Nel contempo, come ci informa il Fatto, stanno diventando tutti, sulla carta, innocui “gessi da defecazione” sottratti alla disciplina dei rifiuti in nome della economia circolare all’italiana.

Al punto che anche chi in un primo momento aveva difeso l’art. 41 ora onestamente ne prende le distanze. Come Alberto Zolezzi, medico e parlamentare 5stelle, il quale, il 28 marzo 2019, aveva criticato “l’allarmismo” delle Iene sostenendo che con l’art. 41 “l’Italia ha introdotto limiti che finora non c’erano, tra i più restrittivi d’Europa” ; e quindi “in attesa che gli amici delle Iene ammettano l’errore e tranquillizzino i loro spettatori vi diciamo anche noi come stanno le cose: siamo e saremo sempre dalla parte dei cittadini e della difesa della salute e dell’ambiente!”. Mentre oggi non tranquillizza più nessuno e dichiara al Fatto che “i campi di molte regioni italiane sono inquinati da metalli pesanti e azoto in eccesso” e che “gli spandimenti in Lombardia hanno un impatto cumulativo insostenibile”.

Del resto, l’on. Alessandro Bratti, ex presidente della Commissione parlamentare ecomafia e attualmente direttore generale dell’Ispra (il nostro massimo organo tecnico governativo di consulenza per l’ambiente), già il 17 maggio 2019, in una intervista a La Stampa, parlando dell’art. 41, aveva affermato: “Sui fanghi di depurazione in agricoltura è il momento di fare una scelta. Io sono molto critico sul loro utilizzo. Soprattutto nel momento in cui parliamo di fanghi di origine mista, prodotti da impianti di depurazione in cui confluiscono reflui urbani e industriali. Per quanto trattati, c’è il rischio che finiscano nel terreno sostanze non idonee… Il punto è che questo rischia di non essere più un modo per apportare benefici in agricoltura, ma un sistema di smaltimento dei fanghi”. Il fatto più grave è che, nonostante le promesse di Costa, pare che questo governo voglia ancora prendere tempo prima di fermare questa vergogna nazionale.

Infatti, un anno dopo l’art. 41, nella legge “europea” del 4 ottobre 2019, è stato inserito, in un articolo che riguarda l’adeguamento delle discariche di rifiuti alle nuove direttive, un comma con cui si delega il governo ad adottare “una nuova disciplina organica in materia di utilizzazione dei fanghi”. E così si rinvia tutto a data da destinarsi attraverso un collegamento (con lo smaltimento in discarica) del tutto improprio. Come quando nel 2018 si inserì l’art. 41 sui fanghi nel decreto legge per i terremotati di Genova. Insomma, per consentire l’uso di fanghi tossici, certamente non di provenienza civile, va bene un decreto legge che riguarda tutt’altro. Per eliminare questa vergogna ci vorrà, invece, un decreto legislativo, con tutti i suoi tempi di elaborazione, collegato con una materia che ben poco ha a che vedere con i fanghi.

In altri termini, certamente è opportuna una riforma organica che parta dagli scarichi e dalla efficienza degli impianti di depurazione da cui originano i fanghi, ma, se la si voleva fare, un anno di tempo era più che sufficiente. E, se proprio ci si vuole rifare all’Europa, meglio sarebbe andare a leggersi una recente sentenza, in cui la Corte europea di giustizia afferma che “il recupero dei fanghi di depurazione comporta taluni rischi per l’ambiente e la salute umana, in particolare quelli connessi con la presenza di sostanze pericolose” (quelle dell’art. 41); e pertanto “uno Stato membro può decidere che un fango da depurazione resti per sempre un rifiuto anche se ha subito operazioni di recupero. In tal modo, infatti, esso sarà per sempre soggetto alla disciplina cautelativa stabilita per i rifiuti “dalla culla alla tomba”. Strada già seguita da alcuni Stati europei fra cui la Svizzera, la Germania e l’Austria, che hanno eliminato o grandemente limitato l’uso di questi fanghi in agricoltura.

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