Il ricatto di Arcelor e la voce balbettante dei Tafazzi giallorosa

6 Novembre 2019

Lunedì sera, gli svariati milioni di italiani che davanti alle tv cercavano di saperne qualcosa di più sull’imbroglio ex Ilva, hanno capito che il governo è formato da una manica di imbecilli (e forse pure di venduti allo straniero, a sentire i sovranisti un tanto al chilo). Dementi che rischiano di mandare in malora il più grande impianto siderurgico d’Europa, con l’annunciata fuga di ArcelorMittal, e dunque di mettere sul lastrico 20mila lavoratori tra operai e occupati nell’indotto. Una catastrofe sociale senza precedenti per Taranto e la Puglia che potrebbe costare all’Italia qualcosa come l’1,4 per cento del Pil. Un suicidio perfetto che d’ora in avanti convincerà qualsiasi investitore estero a starsene prudentemente alla larga da un Paese guidato da un ex bibitaro dello stadio San Paolo nonché da incompetenti patentati felici di mandare in galera gli imprenditori di buona volontà, e che teorizzano la “decrescita felice”, ovvero il ritorno all’età della carrozza a cavalli e dei mulini a vento. Questa è una breve sintesi (testuale) di ciò che abbiamo ascoltato saltando da un canale all’altro, dibattiti tutti indistintamente dominati dallo sgomento e da una mesta considerazione: in che mani siamo finiti.

Ma le cose stanno davvero così? E chi lo sa? Infatti l’altra sera mentre il governo veniva ridotto a brandelli, la voce del governo semplicemente non c’era. O se c’era non si sentiva proprio. Chiariamo subito: per ragioni di ascolto non esiste talk, perfino il più faziosamente avverso al Conte bis che non farebbe carte false per avere in studio un ministro, un viceministro o anche un semplice sottosegretario in grado di controbattere alle accuse di incapacità, sottomissione al nemico ecc. con gli argomenti che sicuramente al Conte bis non mancano. Un problema sicuramente avvertito a Palazzo Chigi, tanto è vero che per ore è stato annunciato un video del premier, mai apparso. Con il risultato che ieri mattina, nei discorsi da bar (che poi diventano schede sonanti nell’urna) la percezione di un maggioranza allo sbando era quella appena descritta. Con un sottotesto anch’esso percepibile: quando arriva Salvini?

Questo diario non ha le pretese, e neppure le necessarie competenze per addentrarsi nel roveto ardente dell’ex Ilva anche se un’opinione se l’è fatta: che cioè ArcelorMittal aspettasse soltanto la scusa buona per ricattare lo Stato italiano, l’alibi per sganciarsi da un investimento considerato non più produttivo. Visto che ciò era noto anche ai sassi, a seguito dell’emendamento soppressivo dello scudo penale – a firma M5S, votato da Pd, Italia Viva e LeU –, ci si chiede perché mai il governo non abbia giocato d’anticipo ponendo subito un perentorio chi va là! alla multinazionale francoindiana? In modo da non farsi trovare del tutto impreparato, come invece è avvenuto.

Possibile, come abbiamo letto da qualche parte, che il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (che conosciamo come persona seria) avesse pochi giorni fa tranquillizzato i colleghi dell’esecutivo assicurando che la proprietà della fabbrica non aveva intenzioni ostili? Ne capiremo di più nei prossimi giorni, anche se il problema centrale resta quello dell’evidente squilibrio tra la sempre più invasiva comunicazione dell’opposizione di destra e la sempre più flebile e balbettante comunicazione giallorossa.

Può darsi che il governo parli poco (e male) perché non sa cosa dire. Più credibile l’idea di un risiko dei Malavoglia, con il quale ogni pezzo della maggioranza cerca di mangiarsi un altro pezzo, possibilmente quello elettoralmente più contiguo, per ragioni di pura propaganda. Un giochino al massacro che è sotto gli occhi di tutti quando nei vari salotti televisivi assistiamo alla polemica di Carlo Calenda contro Matteo Renzi, di Matteo Renzi contro Nicola Zingaretti, di Calenda e Renzi contro Conte, dei Cinquestelle contro chi capita.

Mentre sull’altro versante, dimenticati i nefasti del Papeete e rinvigorito dal plebiscito umbro, il salvinismo ha ben compreso che non c’è bisogno di agitarsi più di tanto, e ciò nella fiduciosa attesa che il Conte bis imploda per conto suo.

Domanda a Conte, Zingaretti e Di Maio (a Renzi è inutile): prima che l’alleanza Pd-M5S finisca definitivamente in frantumi (oggi, stando ai sondaggi, i due partiti insieme valgono la Lega da sola), per salvare il salvabile non sarebbe meglio piantarla con queste insopportabili guerricciole? E farsi sentire con una voce sola, forte e chiara? Altrimenti non sarebbe meglio andare quanto prima al voto?

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