La Groenlandia non si scioglie davanti ai dollari di Trump

17 Agosto 2019

Fatte salve le guerre indiane, gli Stati Uniti non hanno conquistato militarmente neppure un palmo del loro territorio. E quasi la metà se lo sono comperato: dalla Francia di Napoleone Bonaparte nel 1803, quando fecero l’ ‘acquisto della Louisiana’ – era un territorio molto più grande dell’attuale Stato, oltre due milioni di kmq – e dalla Russia degli Zar, nel 1867, quando acquisirono l’Alaska, 1.600.000 kmq. Insieme, i due affari sono valsi all’Unione quasi i due quinti della sua attuale superficie.

Adesso Donald Trump ha in mente un altro colpo, nelle sue corde da imprenditore immobiliare: comperare la Groenlandia, l’isola di ghiaccio tra l’Europa e l’America da cui è probabile che, intorno all’Anno Mille, i vichinghi di Erik il Rosso, banditi dall’Islanda, salparono per la loro scoperta dell’America: occasionale e involontaria, come quella di Cristoforo Colombo, ma meno gravida di conseguenze.

Comperarla, per farne che? Oggi, la Groenlandia, oltre due milioni di kmq e solo 55mila abitanti, quasi 9 su 10 d’origine inuit – è l’isola più grande al Mondo e lo Stato meno densamente popolato – , potrebbe diventare una formidabile ‘base militare’ nel mezzo dell’Atlantico e darebbe il controllo dell’Artico, dove Russia e Cina avanzano pretese e fanno sentire la loro presenza. Senza contare che il riscaldamento globale – ma Trump non ci crede – potrebbe renderla più fertile e accogliente. Difficilmente i progetti di Trump, di cui dava ieri notizia il Wall Street Journal, andranno in porto, perché la Danimarca, che ha la sovranità sulla Groenlandia, ha già detto che l’isola non è in vendita. Ma i groenlandesi sanno fare di testa loro: nel 1985, furono i primi, e finora unici, finché Brexit non avvenga, a uscire dall’allora Comunità economica europea, che, così, perse d’un colpo solo la metà dell’allora suo territorio (era la Cee a 10). Non fu però una botta dura: bastò negoziare un accordo di pesca con la Groenlandia perché tutto fosse come prima. Il commissario all’energia Guido Brunner, tedesco, tenne nel cassetto il progetto di trasferire in Groenlandia le eccedenze di burro all’epoca prodotte dalla Comunità: lì, si sarebbero conservate senza spendere un ecu. La Groenlandia gode, rispetto alla Danimarca, di notevoli prerogative: se il capo dello Stato è il re, ha un premier e un Parlamento proprio (e manda due deputati al Folketing, il Parlamento danese).

Nel 2008 un referendum ha ulteriormente rafforzato l’autonomia: al diritto all’autodeterminazione e al riconoscimento come popolo, s’è aggiunto il diritto di gestire le risorse, soprattutto ittiche.

Secondo il WSJ, Trump avrebbe ripetutamente sollecitato i suoi consiglieri a sondare la possibilità di comperare la Groenlandia, che già ospita la più settentrionale delle basi militari degli Stati Uniti, la Thule Air Base, non lontana dal Circolo polare artico, i cui sistemi di early warning penetrano per migliaia di chilometri in territorio russo e possono captare il lancio di missili intercontinentali. Gli americani hanno pure avuto nel tempo stazioni meteo e postazioni militari risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. La Cina s’interessa da tempo dell’isola: l’anno scorso, vi voleva finanziare e installare aeroporti, un tentativo che il Pentagono ha intercettato e mandato a vuoto. A innescare la curiosità di Trump sarebbe stato un collaboratore che, a una cena in primavera, gli avrebbe detto che la Danimarca fatica a pagare il sussidio di circa 457 milioni di euro che ogni anno invia al suo territorio. Ma il New York Times ricorda che nel 1946 l’allora presidente Harry Truman offrì alla Danimarca 100 milioni di dollari per la Groenlandia (1,3 miliardi di dollari il valore attuale), ma si sentì rispondere di no. E, nel 1867, al momento dell’acquisto dell’Alaska, il Dipartimento di Stato studiò l’idea di comperare pure Groenlandia e Islanda. Anche ora, il governo danese chiude la porta: “La Groenlandia non è in vendita”, fa sapere. Ma uno spiraglio c’è: “Siamo aperti a fare affari”, dice il ministero degli Esteri di Copenaghen. Se son rose, in quel clima difficilmente fioriranno. Ma Trump, se lo vorrà, ne potrà parlare con la premier danese Mette Frederiksen, quando sarà a Copenaghen fra un paio di settimane, subito dopo il G7 in Francia.

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