Truffati dalle banche, l’accordo non c’è. Scudo per i funzionari ma non passa la soglia per i rimborsi automatici

I dirigenti del Mef vogliono essere protetti dalle azioni della Corte di Conti. Tria voleva una corsia preferenziale per chi ha redditi sotto i 35mila euro e l'esame della commissione ministeriale per gli altri, i 5 Stelle non ci stanno

4 Aprile 2019

Le norme per il risarcimento dei truffati dalle banche sono al centro dell’ultimo braccio di ferro tra il Tesoro e i 5 stelle. Lo scontro approderà in Consiglio dei ministri questo pomeriggio. Ieri è parso chiaro che Lega e Cinque Stelle li chiedono tutti e subito (già nel cdm di oggi pomeriggio), mentre via XX Settembre chiede garanzie. Il rischio è che il provvedimento venga approvato in cdm “salvo intese”, ovvero senza un quadro chiaro.

Quale che siano tempi e mezzi saranno due gli interventi sul tavolo: il primo è uno scudo per i funzionari del Tesoro, che li proteggerebbe dal rischio di procedimenti da parte della Corte dei Conti per danno erariale e che di fatto suggerisce che ancora non c’è un accordo con Bruxelles. Il secondo, è l’indicazione delle modalità di erogazione dei risarcimenti ai circa 300mila “truffati delle banche”, azionisti e piccoli obbligazionisti di Etruria & C. e delle Popolari venete, con l’inserimento dell’“indipendenza” tra i requisiti dei componenti della commissione tecnica. C’è ancora da fare, insomma, dopo mesi di tensioni e temporeggiamenti gialloverdi, soprattutto se si tiene conto che il decreto attuativo alla legge di bilancio doveva arrivare entro il 30 gennaio. Per scudare i funzionari che decideranno il pagamento degli indennizzi è stato individuato come ente erogatore Consap, una delle società del Tesoro. Scartata invece le ipotesi di inserimento di una soglia35mila euro di reddito e un massimo di 100mila euro di patrimonio – e degli arbitrati. All’origine dei continui ritardi, infatti, c’è proprio l’opposizione di Bruxelles ai rimborsi generalizzati voluti dal governo dopo la modifica alla legge originaria.

In manovra, il governo ha stanziato 1,5 miliardi fino al 2021 per ex azionisti e detentori di bond subordinati (per i primi il rimborso è al 30%, per i secondi al 95%, entro i 100 mila euro). Nella prima versione del provvedimento, approvata alla Camera, era stato però previsto l’obbligo di dimostrare di essere stati spinti ad acquistare i titoli dalle banche, in violazione delle norme a tutela dei risparmiatori, con una sentenza favorevole del tribunale o dell’Arbitro finanziario Consob (Acf). Dopo un lungo negoziato con le associazioni, la norma era stata poi modificata e si era deciso di concedere il rimborso in maniera generalizzata. Il cosiddetto “misselling”, insomma, non sarebbe stato verificato caso per caso, come voluto soprattutto dagli uomini della Lega al ministero, e la modifica fu introdotta con un emendamento dei 5Stelle. La norma è stata però contestata con dei rilievi dell’Ufficio di coordinamento del Tesoro (Ucadt), struttura di supporto del direttore generale Alessandro Rivera (che gestisce i rapporti con Bruxelles per le materie bancarie). L’eliminazione dell’accertamento del danno, si spiegava, non è compatibile con i limiti imposti dall’Ue. Anche perché l’indennizzo riguarderebbe soprattutto gli azionisti che, a differenza degli obbligazionisti, “posseggono strumenti di capitale di rischio e non di debito”. La norma, insomma, in quella forma rischiava “l’imputazione di danno erariale”.

I due vicepremier, Di Maio e Salvini, hanno però tirato dritto e la contestazione dell’Ue non si è fatta attendere: a fine gennaio Bruxelles aveva inviato una lettera che di fatto ricalcava i dubbi di Rivera e annunciava “rilievi critici” tra cui la mancanza di un meccanismo che accertasse caso per caso se ci fosse stata “violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza”. Da lì, sono intercorsi tempi e discussioni: il governo ha parlato di dialogo con Bruxelles ma l’accordo sembra non esserci.

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