l’intervista - Vito Crimi

Vito Crimi: “Caro Berlusconi la pacchia è finita: tetti alla pubblicità in tv”

Il 5Stelle ha la delega all’Editoria: “Stop soldi pubblici ai giornali, ma le risorse degli spot vadano anche alla carta”

14 Settembre 2018

Appena entriamo nella sua stanza di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Vito Crimi ci dà subito una notizia: “Si ricorda il Fondo per il pluralismo dell’editoria istituito da Luca Lotti? Bene, in quel fondo era previsto un contributo di solidarietà dello 0,1% sui redditi delle concessionarie di pubblicità compresi i Centri Media. Il decreto che avrebbe dovuto fissare i criteri per questo contributo non è stato mai varato. Di fatto, un regalo alle grandi concessionarie, a Berlusconi in primis”. La discussione sul finanziamento pubblico all’editoria, quindi, inizia da qui, da come sono ripartite le risorse, da chi le ha sul serio e chi invece è in crisi. Il Fondo pubblico eroga contributi alla stampa, per circa 114 milioni (ma 27,8 vanno alla convenzione con Rai International), e si finanzia con risorse pubbliche e solo teoricamente, apprendiamo oggi, con l’extra-gettito del canone Rai e la quota dello 0,1% sui ricavi pubblicitari.

Applicherete quindi quella norma prevista dal provvedimento che porta la firma di Lotti?
Sì, riapriamo subito i termini e già in legge di Bilancio procederemo a determinare le nuove tempistiche.

Vi mettete contro editori importanti, a cominciare da Berlusconi.
Lo so, del resto quella ‘dimenticanza’ è stata l’ennesimo favore del Pd a Berlusconi e questi regali devono finire.

Possiamo dire che per Berlusconi è finita la pacchia?
Non è il mio linguaggio, ma si può anche dire che è finita la pacchia. Il punto vero è che occorre ridistribuire la pubblicità tra tv e carta stampata. Noi non siamo contro i giornali per partito preso.

Però volete tagliare i fondi diretti all’editoria.
Sì, attualmente sono stanziati circa 200 milioni tra contributi diretti, alle radio e alle tv, senza contare l’agevolazione delle tariffe telefoniche che può essere stimata in 60 milioni e che andrà rivista da subito.

Come pensate di agire?
Tagliando i finanziamenti pubblici, intervenendo sul contributo dello 0,1% come detto e verificando che l’extra-gettito derivante dal canone Rai sia davvero confluito nel Fondo.

Ma i contributi all’editoria vanno eliminati del tutto o possono esserci ancora dei criteri per un intervento pubblico?
Innanzitutto vanno aggiustate le distorsioni, visto che circa il 30 per cento dei fondi va a 4-5 testate. Andrà individuato un tetto e modificate le modalità di erogazione. Ad esempio, si può cominciare garantendo il 50 per cento di quanto dovuto e poi di anno in anno verificare. Vogliamo realizzare anche in questo settore quanto fatto con l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.

Ci saranno però ricadute occupazionali.
Noi vogliamo solo togliere i fondi pubblici all’editoria, non eliminare il Fondo per il pluralismo. Gli editori hanno ricevuto tantissimi soldi in questi anni, dal 2003 oltre 3 miliardi di euro. A fronte di questo ci saremmo aspettati investimenti per reggersi sul mercato che non ci sono stati. Ci sono modi per affrontare le ricadute occupazionali.

Per esempio?
Penso che si possano introdurre dei tetti pubblicitari per aiutare dal lato degli introiti i giornali.

Tetti pubblicitari alla Tv?
Sì, un meccanismo di redistribuzione delle risorse all’interno del sistema. Una strada a cui occorre del tempo per essere realizzata, ma importante. Possiamo poi prevedere incentivi pubblici alla domanda, ad esempio, sostenendo gli abbonamenti oppure nuove idee innovative. Sto proponendo agli editori una piattaforma tecnologica che, ad esempio, permetta al costo di un abbonamento la lettura di tutti i giornali. Sarebbe una ‘Netflix dell’editoria’.

Potrebbero protestare gli edicolanti.
Io penso che le edicole vadano aiutate a trasformarsi in una rete di servizi, remunerati, e non essere più schiacciate tra la distribuzione e le norme imposte dagli enti locali.

Il ministro Di Maio ha parlato di un limite alla pubblicità sui giornali da parte delle imprese partecipate dallo Stato. È d’accordo?
Sì, le aziende di Stato sono state troppo spesso il bancomat dei politici e ancora adesso ho sentore di commistioni improprie tra le aziende e i giornali. Credo che occorra lavorare a una trasparenza degli investimenti pubblicitari e capire l’incidenza di alcuni inserzionisti. Il lettore deve sapere se il suo giornale ha un ‘socio occulto’ o meno.

Vale solo per i giornali o anche per le tv?
Il problema riguarda tutti gli organi di informazione.

Lei ha parlato anche di editore puro. Intende far uscire dai giornali gli imprenditori che fanno altro?
Credo che occorra mettere dei tetti alla partecipazione nelle imprese editoriali da parte di chi non ha come attività centrale l’editoria.

Ma senza azionisti come Caltagirone o De Benedetti alcuni giornali potrebbero chiudere.
Se quei soggetti ricavano un utile dalle loro partecipazioni altri soggetti potrebbero facilmente subentrare. Se invece non ricavano un utile vuol dire che non si comportano da editori ma da sponsor, finanziano un giornale solo per il tornaconto alla propria azienda e non per fare informazione.

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