Prima di Genova

Fondi della Lega, “Vaffanbagno”: quando i leghisti progettavano di far sparire i soldi

Intercettati nel 2013 dai pm di Reggio Calabria - Già cinque anni fa si parlava di spostare il patrimonio in una fondazione: poi i piani cambiano

8 Settembre 2018

Vaffanbagno. Questa è la risposta che i consulenti della Lega Nord, già cinque anni fa, meditavano di dare a chi voleva sequestrare i soldi del partito che allora era guidato da Roberto Maroni e oggi è diventato il regno di Matteo Salvini.

Quando è iniziata la grande fuga della Lega Nord dalle sue responsabilità? Nella prima metà del 2013, con la regia dell’avvocato Domenico Aiello, stretto collaboratore e difensore legale dell’allora segretario del partito Maroni, la Lega Nord progetta un piano in due mosse: spostare il patrimonio dai conti della Lega a quelli di un soggetto diverso dal partito, che poteva essere un trust o una fondazione. Questo soggetto avrebbe avuto un conto corrente separato da quello della Lega Nord e in caso di azioni giudiziarie i pm o i creditori del vecchio partito, per altre vicende diverse da quelle odierne, non avrebbero trovato nulla da prendere.

Cinque anni dopo i magistrati di Genova stanno cercando di capire che fine abbiano fatto 49 milioni mancanti all’appello. Dopo la condanna in primo grado per gli sperperi della family di Umberto Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito, la magistratura ha disposto il sequestro di circa 49 milioni di euro che lo Stato italiano ha elargito alla Lega per la sua attività politica sulla base di conti poi rivelatisi non veritieri. Sul conto della Lega nel 2017 erano rimasti solo 1,6 milioni.

Le intercettazioni delle telefonate dell’avvocato Aiello risalenti al 2013 e contenute nell’indagine Breakfast della Dia di Reggio Calabria, pur non avendo portato a nessuna conseguenza penale, sono interessanti per ricostruire la logica dei consulenti dello stato maggiore leghista di allora. In particolare è interessante leggere la trascrizione della conversazione del 9 gennaio 2013 tra l’avvocato Aiello e il notaio Angelo Busani, grande conoscitore del diritto. Busani chiede ad Aiello: “Tu hai paura di azioni esecutive?” e Aiello: “Una l’abbiamo appena subita per circa 3 milioni. Era un ricorso per decreto ingiuntivo non opposto e poi il precetto. (…) prestazioni professionali erano. (…) Eh! Era, tra l’altro, un dirigente della Lega (Matteo Brigandì, avvocato e amico di Bossi, ndr)”.

A questo punto Busani propone di contattare una persona a cui far svolgere il ruolo di gestore del trust per mettere al sicuro le finanze della Lega Nord. E Aiello frena: “No, prima devo capire la bontà dell’ingegneria… dell’architettura della struttura che mettiamo su”. La risposta di Busani: “Domenico, la bontà è che i soldi non sono più sul conto della Lega e vaffambagno, se fanno l’esecuzione non li trovano! Però non so se sia buono per te”. A quel punto, Aiello chiede a Busani di vedersi di persona. Poi l’avvocato Aiello fissa un incontro dal notaio Busani con Roberto Maroni per l’8 febbraio 2013. Il trust non fu poi fatto.

La Lega però, dopo le elezioni, nel luglio 2013 continuò ad accarezzare il progetto cambiandone la forma.

Il 23 luglio Domenico Aiello conversa con il commercialista Carmine Pallino del patrimonio leghista e dice che devono accelerare mettendo “il più possibile in sicurezza”. I due condividono l’ipotesi di realizzare una fondazione, che per Pallino è da intendere come salvaguardia del patrimonio. Aiello precisa che deve essere la “cassaforte padana”. Proprio l’avvocato di Maroni a tal riguardo spiega che per tal fine aprì un conto alla Cassa di Risparmio di Bolzano.

La disponibilità liquida presente allora presso la Banca Aletti e altri istituti, pari a 20 milioni di euro, fu spostata alla Cassa di Risparmio di Bolzano Sparkasse nel febbraio del 2013. Grazie all’entità della somma Aiello spuntò anche un tasso conveniente.

Il progetto dopo l’elezione di Maroni a Governatore è però saltato.

Quando i pm genovesi nel 2017 sono andati a cercare di sequestrare i 48,9 milioni sul conto della banca dove nel frattempo la Lega aveva ritrasferito i suoi fondi, hanno trovato solo un milione e 651 mila euro.

I dirigenti leghisti sostengono che in questi anni i soldi sono stati spesi per il funzionamento del partito. Ed effettivamente c’è traccia di uscite verso società di comunicazione o soggetti come Google che un’organizzazione politica può pagare per migliorare la sua immagine sul web.

Il punto però non è solo rintracciare la sorte dei 20 milioni di euro trasferiti nel 2013 alla Sparkasse. Il punto è anche capire se tutti i trasferimenti effettuati con lo scopo dichiarato di eludere i sequestri dei creditori siano leciti o meno.

A Genova è stata aperta un’indagine per riciclaggio ma è stata la Procura di Reggio Calabria, durante l’inchiesta Breakfast, a intercettare le telefonate dell’avvocato Aiello nel periodo 2013-2014 fino al passaggio di consegne tra il vecchio segretario Maroni e il nuovo, Matteo Salvini.

Quelle intercettazioni segrete sono state pubblicate nel 2016 sul Fatto e poi nel libro “Il potere dei segreti”. Poi sono state acquisite dalla magistratura penale (la Procura di Reggio Calabria le ha sequestrate al Fatto nel 2016, dopo la pubblicazione) e sono state sottoposte anche alla magistratura civile milanese in una causa per diffamazione intentata contro Il Fatto.

Già il 20 dicembre del 2012 Domenico Aiello spiega al suo amico avvocato Francesco Centonze, che se il partito non avesse avuto i 9 milioni di euro pignorati allora sul conto corrente della Lega (per cause civili che nulla hanno a che fare con la vicende attuali di Genova), ma li avesse spostati su questo fondo separato, non avrebbero potuto essere oggetto di sequestro. La Procura di Genova non ha trovato i 49 milioni sui conti della Lega. Ieri Umberto Bossi ha dichiarato: “Quando ero io alla guida i soldi c’erano”.

Articolo aggiornato alle ore 14 dell’11 settembre

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