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Il mostro del “sole sulla terra” e il riscatto degli atomici italiani

Francia - Nel progetto per l’impianto di fusione nucleare (finanziato da tutte le potenze del mondo ) un ruolo centrale per i nostri fisici
Il mostro del “sole sulla terra” e il riscatto degli atomici italiani
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Ricreare in laboratorio l’energia che tiene accese le stelle. O, se preferite, riuscire a realizzare il sole sulla terra. Sembra la trama di un fantasy è invece un progetto da 22 miliardi di euro già in fase avanzata di realizzazione. Questo il sogno visionario degli ingegneri nucleari: dimostrare la fattibilità tecnica e scientifica della reazione di fusione non nel nucleo di una stella, ma tra le pareti di un cilindro da 280 mila tonnellate di cemento armato che dovrebbe contenere i 150 milioni di gradi sprigionati dalla fusione. Se pensate che sia impossibile siete in netta minoranza, visto che al progetto partecipa praticamente tutto il mondo: Unione europea, Usa, India, Corea del Sud, Cina, Giappone e Russia. Ossia più dell’80% del Pil mondiale, con l’Europa che fa la parte del leone finanziando il 45% dell’opera. Il progetto è stato chiamato Iter è ha un doppio significato. È l’acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, ma rimanda anche alla parola latina che significa “percorso”, “cammino”. Quello che nel 2035 dovrebbe portare alla produzione di energia pulita a basso costo attraverso un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale. Vuol dire che nessuno ha mai provato finora una simile impresa, ma che tutti i partecipanti confidano nella sua riuscita sulla base delle evidenze scientifiche fin qui raccolte.

Iter ha un cuore tricolore perché molta della tecnologia sofisticata necessaria è fornita da aziende e ingegneri nucleari italiani che lavorano all’impianto che si trova nel sud della Francia, a Cadarache, un’ora d’auto da Marsiglia, immersa nella verde campagna della Provenza. Una costruzione che di certo non si può definire a basso impatto, ma senza nessun contraccolpo sulla comunità locale che ha anzi accolto i lavoratori e le famiglie, aprendo addirittura una scuola internazionale dedicata a loro. Una situazione un po’ diversa da quella italiana che con i due referendum fece tramontare il futuro del nucleare italiano costringendo alla diaspora gli ingegneri. Che in Francia hanno trovato in molti casi una nuova vita professionale. È il caso di Sergio Orlandi, laurea alla scuola Sant’Anna di Pisa, lunga carriera in Ansaldo nucleare fino ad arrivare al vertice e adesso a capo del più grande e delicato dipartimento di Iter, quello d’ingegneria d’impianto. Che così racconta il suo esordio a Iter: “Nel 2013 sono stato chiamato per un colloquio e sono stato scelto. Così ho ricominciato a 57 anni un’avventura sfidante al massimo, perché non c’è niente di facile in questo progetto”.

Giornate lavorative che durano 13-14 ore e un primo problema non da poco. “La cosa più difficile è stata farsi accettare da italiano, con il nucleare cancellato nel nostro Paese di fatto sembravo una nota stonata”. Ma per lui, profugo della Libia nato a Tripoli ed espulso da Gheddafi con tutta la famiglia, dimostrare di essere l’opposto degli stereotipi è stata una passeggiata. E quando spiega in cosa consiste il progetto si sente tutta la passione, la curiosità e la competenza che l’hanno portato a costruire centrali nucleari in tutto il mondo. “È una centrale al limite dello scibile umano, ma basata su tecnologie ben conosciute. L’idea è di avere energia per tutti perché deuterio e trizio (gli elementi alla base della fusione) sono prodotti disponibili in natura e l’acqua di mare ne è la principale sorgente. Sono tecnologie che già ripagano lo sforzo economico e sono trasferibili immediatamente in altri campi della scienza e della tecnologia come l’aeronautica o l’aerospaziale”.

Anche sul fronte delle scorie radioattive la fusione ha dei vantaggi rispetto alla tradizionale fissione nucleare. “I rifiuti generati dalla fusione nucleare (principalmente il trizio) sono caratterizzati da tempi di dimezzamento nel decadimento radioattivo dell’ordine di qualche decina di anni”.

Antonella Donadio è segretario generale della camera di commercio italiana di Marsiglia e così racconta l’impatto per il sistema industriale italiano: “Siamo stati coinvolti sin dalle fasi iniziali del progetto realizzando varie azioni di promozione con Enea, Confindustria e altri enti, organizzando visite guidate al sito e incontri tra aziende locali e italiane interessate alle gare d’appalto”.

Per Alessandro Giovine, console generale d’Italia a Marsiglia, Iter tiene alta la bandiera italiana: “Da parte del consolato sosteniamo e diamo tutto il supporto organizzativo assicurando una presenza istituzionale costante e adeguata al livello del progetto”. Un livello stellare.

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