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Dario Fo, mio padre. Incapace di smettere di essere vivo anche alla fine

I giorni in ospedale - La risata strappata da Grillo e il racconto a Petrini: voleva dipingere le allucinazioni
Dario Fo, mio padre. Incapace di smettere di essere vivo anche alla fine
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Mio padre è, come si dice, morto. All’inizio di luglio i medici avevano dato come imminente la sua morte. Nonostante questo, il primo agosto è riuscito a recitare a Roma, di fronte a tremila persone. Aveva un problema ai polmoni ma è riuscito a concludere lo spettacolo cantando. Io e i compagni intorno a lui, che sapevamo delle sue condizioni, lo guardavamo allibiti. Quando ho telefonato al professor Poletti, grandissimo medico e amico, e gli ho detto che ce l’aveva fatta, lui mi ha detto: “Sono ateo ma adesso credo ai miracoli!”. Dario ha continuato a lavorare 8 ore al giorno fino a quando è stato ricoverato all’ospedale Sacco di Milano. È stato accompagnato alla morte in modo rispettoso, e di questo devo ringraziare il professor Legnani e il suo gruppo di lavoro.

Persone straordinarie… E anche in questi giorni di grave, veloce peggioramento, ha continuato a essere con noi, a parlare con gli amici. Addirittura è riuscito a trasformare le allucinazioni causate dai farmaci in un’occasione di ricerca, curioso come è sempre stato, incapace di smettere di essere vivo e appassionato. Quando Carlo Petrini, grande amico di sempre, è venuto a trovarlo con Doriano Cranco, che insieme a Mario Pirovano è stato un figlio per lui, è riuscito addirittura a tenere una concione di un’ora e mezza raccontando, affascinato, quel che vedeva e l’idea di dipingere le sue visioni. Ancora mercoledì mattina è riuscito a riprendersi e a scambiare qualche parola con Beppe Grillo che è corso al suo capezzale, e gli ha raccontato cosa sta facendo. Dario, con la maschera dell’ossigeno sul viso, non aveva ancora mollato: “Bisogna tenere duro! Bisogna andare avanti!”, Beppe è riuscito a farlo ridere. È stata la sua ultima risata. Di cuore. Dario ha vissuto alla grande, ha saputo convivere con dolori immensi, non si è mai piegato, ha goduto dell’amore di moltissime persone e ha dato sempre tutto quello che ha potuto a chi se la vedeva brutta.

Ed è morto senza che ci si accanisse su di lui terapeuticamente… È morto bene, nel sonno, mentre gli eravamo vicini. Credo che di più a una vita non si possa chiedere. E forse la sua resistenza di fronte alla morte potrebbe essere utile perché finalmente l’arte, la passione e la solidarietà vengano ammessi nei protocolli medici e prescritti dai dottori sulle ricette mediche insieme ai farmaci: “Tutti i giorni dopo i pasti aiutare qualcuno e fare arte”.

Vorrei dire tanto altro, ma mi scuserete, ho la testa un po’ confusa. Mando un abbraccio a tutti quelli che vogliono bene a Dario. E scusate la banalità, ma lo immagino finalmente di nuovo tra le braccia di Franca. E non ditemi che noi atei non possiamo credere che questo possa succedere. L’amore se ne infischia di certe cose.

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