Usa 2016, un magnate in osteria

11 Ottobre 2016

Brevi riflessioni sul secondo dibattito tra Donald Trump e Hillary Clinton. Premetto due modi di dire piuttosto diffusi: 1) ofelé fa el to mesté; 2) del senno di poi…

Il primo in questo caso significa che non sono un politico e quindi non ho titolo per insegnare qualcosa a Trump o Clinton. Il secondo vuol dire che dopo il dibattito, a mente fredda e bocce ferme, è facile per chiunque tirar fuori risposte che sembrano più incisive ed efficaci di quelle ascoltate. Tanto premesso, ci sono in particolare tre momenti del dibattito che a mio giudizio si prestavano (e quasi obbligavano) a uno scambio di battute ancor più ruvido di quello che ha caratterizzato l’andamento generale del confronto.

Un punto “forte” è stato quello con cui Trump ha scagliato contro la Clinton la velenosa minaccia di mandarla in galera (nominando alla bisogna un procuratore speciale) per la faccenda delle e-mail. Ci stava precisa precisa una replica fondata sul concetto che parlando così un candidato alla presidenza Usa si colloca al livello di un dittatorucolo di quart’ordine, da repubblica delle banane. Niente a che vedere con la prima potenza (democrazia) del mondo.

Quando poi Trump si è vantato di aver speso di tasca sua – per la campagna elettorale – una montagna di dollari, mente la Clinton di suo non avrebbe messo un soldo, potendo contare su donazioni di vari sostenitori, una risposta secca poteva essere quella secondo cui Trump ha potuto fare ciò di cui si vanta anche perché non ha pagato una montagna di tasse.

Infine, l’argomento con cui Trump si difende dall’ondata di vergogna che lo ha ricoperto dopo la diffusione del video del 2005 contenente dichiarazioni di violenza sessista oltre ogni limite.

 

A parte la fragilità della linea di difesa nel caso specifico, ci sarebbe da dire che essa è la spia di una tendenza generalizzata di Trump a ridurre tutto (problemi razziali; politica interna; sicurezza nazionale e internazionale; migrazione) a temi da trattare con stile da spogliatoio od osteria. Di nuovo, troppo poco per uno statista che aspira a governare – con gli Usa – il mondo.

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