Alla Camera

Intercettazioni. Pd, Fi ed ex Sel salvano “Giggino ‘a Purpetta”. Che ora spera nell’archivizione

La Camera ha detto no all’uso delle intercettazioni di Luigi Cesaro, ex deputato di FI accusato di corruzione. L'autorizzazione è stata negata perché le registrazioni sono state fatte in una data successiva (gennaio 2012) all’inizio dell'inchiesta, sapendo che l'ex forzista era parlamentare

14 Luglio 2016

I colpi di coda della politica che si autoprotegge dalla magistratura e imbocca la scorciatoia delle guarentigie parlamentari vanno in scena nel tardo pomeriggio di ieri nell’aula della Camera. Una maggioranza trasversale ha di fatto salvato il deputato azzurro Luigi Cesaro da un’inchiesta della Procura di Napoli su presunte tangenti per l’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti nel Comune di Forio d’Ischia. Un appalto per il quale si sarebbe favorita un’impresa, la Cite, ritenuta vicina a Cesaro e collegata al cartello politico-affaristico di Forza Italia.

La Camera infatti ha accolto la proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere ed ha negato l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche di Cesaro, richiesto dal Gip del Tribunale di Napoli il 14 aprile 2016. Contro l’autorizzazione hanno votato in 285 (Pd, Si, Fi, Fdi), a favore in 74 (M5s e Scelta civica) mentre 20 si sono astenuti (Lega). Erano intercettazioni ‘indirette’. Cioè di altri indagati sorpresi a parlare con il deputato berlusconiano, all’epoca anche presidente della Provincia di Napoli. “Gravemente autoindizianti” per Cesaro, scrisse il gip nell’ordinanza di custodia cautelare emessa a gennaio nei confronti di alcuni indagati, tra cui anche il senatore azzurro Domenico De Siano, pure lui ‘salvato’ dal Parlamento: rischiò gli arresti domiciliari, Palazzo Madama li respinse con una maggioranza simile a quella di Cesaro.

Nel caso di De Siano, intercettato quando non era ancora senatore ma semplice consigliere regionale della Campania, le indagini della Squadra Mobile di Napoli si sono rivelate sufficientemente fondate da sfociare nei giorni scorsi in un rinvio a giudizio per corruzione. Per Cesaro, la cui posizione era stata stralciata in attesa del voto sulle intercettazioni, il caso è diverso. “Prendiamo atto” commenta il procuratore aggiunto Alfonso D’Avino, capo del pool reati contro la pubblica amministrazione. Fonti inquirenti ricordano però che senza intercettazioni contro Cesaro rimane ben poco.

Qualche informativa di servizio sugli appostamenti e sugli incontri con i politici e i galoppini coindagati, e poco altro. Cesaro a questo punto potrebbe ottenere un’archiviazione: senza le trascrizioni delle sue telefonate, potrebbero non esserci elementi sufficienti per sostenere un’accusa in giudizio. Il relatore Marco Di Lello (Pd) ha detto che compito della Camera non è di entrare nel merito dell’inchiesta, ma di verificare se sia stata rispettato l’articolo 68 della Costituzione.

La autorizzazione è stata negata – asseriscono – perché le intercettazioni sono state fatte in una data successiva (gennaio 2012) all’inizio dell’inchiesta, sapendo che Cesaro era parlamentare, il che implica la violazione dell’articolo 68 della Costituzione. In sostanza, la Procura viene accusata di aver ‘aggirato’ il divieto attraverso intercettazioni indirette non casuali. Tra le conversazioni che non potranno essere usate contro Cesaro, ce ne sono un paio del 4 gennaio 2012. Una con Oscar Rumolo, il factotum di De Siano, in cui Cesaro si compiace dell’appalto a Cite: “Abbiamo chiuso una bella operazione”.

L’altra è con un dipendente di Cite, Carlo Savoia: “In settimana poi ci vediamo, ci vediamo dopodomani, la Befana”. Che è la data dell’appuntamento, ma anche il gergo in codice della tangente pattuita e da elargire a diverse persone, come rivelerebbe un’altra conversazione tra Savoia e un altro dipendente Cite, Gallo, anche questa del 4 gennaio: “La Befana la vanno trovando tutti quanti, tu forse non hai capito… la Befana ci vuole… ci cerca”.

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