Ottant’anni dopo, il Franco Cfa continua a plasmare il destino economico di milioni di africani
Immagina di avere una paghetta, ma con una regola strana: non puoi gestirla davvero come vuoi tu. Devi per forza affidarne una parte a qualcun altro, che la tiene “in custodia” e decide lui cosa farne. È come se tu avessi 100 euro, ma 50 euro li tenesse sempre un tuo amico “per sicurezza”. Solo che questi soldi non stanno fermi in una cassaforte: il Tesoro francese (il tuo amico) li usa, li investe, ci finanzia anche il debito pubblico francese, e fino a poco tempo fa non ti dava in cambio gli interessi pieni di mercato.
Così ogni anno il 50% delle riserve valutarie dei 14 Paesi africani non sta in casa loro, ma direttamente dal loro “amico”: la Francia. In cambio, la Francia garantisce a questi Paesi che il valore della loro paghetta (che è in una moneta detta Franco Cfa) sia fisso rispetto all’euro e quindi non crolli. Con una moneta “forte” stanno al sicuro ed è più facile per loro comprare dall’estero. Però se qualcuno di questi 14 Paesi volesse rendere più conveniente qualche suo prodotto da esportare (per esempio cacao o cotone), non può “abbassare il prezzo” della moneta. Perché questi Paesi – che hanno come moneta il franco Cfa – anche se sono “indipendenti” da decenni, non controllano il valore della loro valuta: il cambio è deciso a Parigi.
Ecco, il franco Cfa funziona, in modo molto semplificato, più o meno così. Buon compleanno!
Il 26 dicembre 2025 il Franco Cfa compie ottant’anni. Era il 1945 quando Charles De Gaulle firmò il decreto che istituiva il “Franco delle Colonie Francesi d’Africa”, inserendolo nella riorganizzazione monetaria post-bellica. Ottant’anni dopo, quella sigla – oggi Franco della Comunità Finanziaria Africana e Franco della Cooperazione Finanziaria in Africa Centrale – divide ancora: strumento di stabilità per alcuni, catena neocoloniale per altri. Oggi è la moneta di Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Ciad, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana.
Ma questo ottantesimo anniversario cade in un momento particolarmente critico. Una nuova generazione africana, quella stessa Gen Z che ha già dimostrato la sua forza nelle proteste dal Senegal al Kenya al Madagascar, si interroga sempre più apertamente sull’eredità coloniale nelle strutture economiche contemporanee. Il franco Cfa è uno dei pochi temi sovranazionali su cui i giovani africani francofoni concordano.
In Burkina Faso il movimento panafricanista Anti-Cfa Front ha organizzato conferenze e mobilitazioni per denunciare quella che definisce la natura neocoloniale del franco Cfa. Si tratta di un fenomeno che s’inserisce in una dinamica più ampia: in diversi paesi dell’Africa francofona le proteste contro il franco Cfa si sono moltiplicate, spesso portate avanti da movimenti giovanili e cittadini. Non vi stupirà che la storia del Franco Cfa sia anche storia di leader africani che hanno provato a liberarsene pagandone le conseguenze. Modibo Keïta in Mali, deposto nel 1968 da un golpe appoggiato da Parigi. Sékou Touré in Guinea, vittima negli anni ’60 di un’operazione segreta orchestrata da Jacques Foccart che diffuse banconote false per provocare inflazione e costringere il paese a rientrare nell’orbita monetaria francese. Thomas Sankara in Burkina Faso, che definì il Cfa “arma di dominio francese” prima di essere assassinato nel 1987.
I 14 paesi della zona Cfa hanno oggi oltre 180 milioni di abitanti, destinati a raddoppiare entro il 2050. Una popolazione giovane – l’età mediana è 19 anni – con aspettative enormi e margini di manovra economici strettissimi. Ecco, diciamo che è un po’ come avere le rotelle sulla bici anche a 16 anni: ti dà sicurezza, ma non impari mai a stare in equilibrio da solo.
Una gioventù africana istruita, connessa, politicamente attiva non accetta più il discorso della “stabilità a ogni costo”. La Francia deposita il 50% delle riserve altrui, stampa le banconote altrove, mantiene seggi nei consigli di amministrazione delle banche centrali africane. Può anche chiamarsi “cooperazione”, ma non ci crede più nessuno. Il futuro del franco Cfa si giocherà probabilmente su un compromesso tra stabilità e flessibilità, tra integrazione regionale e sovranità nazionale. Ottant’anni dopo la sua creazione in un ufficio parigino, quella moneta continua a plasmare il destino economico di milioni di africani.