Auto inquinanti dopo il 2035? Se l’Europa torna indietro sull’elettrico, se ne avvantaggerà la Cina
di Andrea Boraschi*
Martedì l’Ue deciderà il futuro del settore auto europeo. La revisione della normativa sulle emissioni di CO₂ delle auto, dunque la decisione di confermare o meno l’obiettivo di vendere solo veicoli a zero emissioni dal 2035, ci dirà se l’Europa è davvero intenzionata a competere con Cina e Stati Uniti o se, di fatto, accetterà una prospettiva in cui il futuro dell’auto non è europeo.
L’industria automobilistica del continente e i suoi alleati politici, nonché le lobby dell’oil&gas, hanno impegnato tutte le loro forze in questa battaglia. Ciò che realmente vogliono – oltre il paravento fumoso della “neutralità tecnologica” – è la possibilità di continuare a vendere auto endotermiche anche dopo il 2035. E di lasciare maggiore spazio, da qui ad allora, a tecnologie e carburanti assai lontani – per capacità di riduzione delle emissioni, per efficienza, maturità tecnologica e sostenibilità – dalle prestazioni dell’auto elettrica (BEV). Che sarà invece – per stessa ammissione dei carmaker – la tecnologia dominante nei prossimi anni.
L’industria è molto abile, quando si tratta di addossare la responsabilità della sua crisi sui regolatori e sulle politiche climatiche. La realtà, però, è che la crisi dell’auto non ha nulla a che fare col 2035. Le vendite di auto in Europa sono calate di tre milioni, rispetto al 2019, perché le case automobilistiche hanno privilegiato margini di profitto più alti a scapito dei volumi. Tra il 2018 e il 2024 il prezzo medio di un’auto di massa è salito del 40%, passando da 22.000 a 30.700 euro. E sono stati anni in cui molti produttori hanno registrato profitti record.
Queste decisioni stanno ora producendo effetti concreti. La maggior parte degli europei non può più permettersi un’auto nuova, mentre in Cina i marchi europei stanno cedendo mercato sotto la pressione della concorrenza locale sui veicoli elettrici. Come se ne esce? La “soluzione magica” dei carmaker sarebbe di aprire le porte ai biocarburanti e agli ibridi plug-in (PHEV) dopo il 2035. Un rimedio effimero, volto a massimizzare nel breve termine la componente endotermica; e un grave errore strategico nel medio-lungo termine, che rischia di condurre l’industria europea in un vicolo cieco. Ecco perché.
La prospettiva industriale – Una prospettiva di decarbonizzazione chiara, dunque obiettivi trasparenti e stabili, rappresenta la bussola degli investimenti e della fiducia nel mercato. Indebolire il target del 2035 significherebbe mettere a rischio centinaia di miliardi già impegnati nella filiera dell’elettrico: batterie, reti di ricarica, elettronica di potenza e componenti. Non a caso, oltre 200 CEO e leader del settore hanno scritto alla Commissione europea esortandola a non toccare questi obiettivi.
La sostenibilità economica – Dietro lo slogan della “neutralità tecnologica” si nascondono soluzioni costose per i consumatori. Le auto elettriche sono già le più economiche, nell’intero ciclo di possesso e utilizzo, e presto saranno anche le più convenienti da acquistare. Al contrario, gli ibridi plug-in costano in media 15.000 euro in più delle elettriche; se ai costi di acquisto si sommano quelli di utilizzo, le PHEV possono arrivare a costare fino al 18% in più per veicoli nuovi, percentuali che salgono ulteriormente (fino al 29%) per l’usato. Gli e-fuel – altra soluzione propugnata dall’industria – arriverebbero a costare fino a 6-8 euro al litro. E anche i biocarburanti avanzati, tanto cari all’Italia, sarebbero un’alternativa costosa a causa della loro scarsa disponibilità.
L’avanzata dell’elettrico – La corsa globale verso l’elettrico, per contro, è in atto e non da segni di inversione. Le vendite di veicoli elettrici crescono non solo in Cina, ma anche in mercati emergenti come Thailandia e Vietnam. E anche in Europa la transizione sta accelerando.
Lo scorso novembre, i veicoli elettrici hanno raggiunto un nuovo massimo storico, con 160.000 unità vendute in sette mercati del continente europeo. Dall’inizio dell’anno si registra una solida crescita del 30%: oggi in Francia le BEV valgono il 26% del mercato, in Portogallo il 32%; nel Regno Unito sfiorano il 26,5% e in Germania sono al 22%, massimo storico dopo la fine degli incentivi nel 2023. In Italia, lo scorso novembre le elettriche hanno rappresentato il 12% del mercato. Un risultato frutto degli incentivi, certo; ma anche la dimostrazione ultima che i consumatori non disprezzano affatto l’auto elettrica, hanno semmai bisogno di politiche di sostegno alla transizione.
Il declino inesorabile dei motori tradizionali – Sul fronte opposto, i motori tradizionali sono in costante declino. Le vendite di auto a combustione interna (ICE) non si sono mai riprese dal picco del 2019; da allora a oggi, ICE e ibride (non plug in), sommate, hanno perso il 10% del mercato (mentre le elettriche ne hanno conquistato il 15%).
La domanda complessiva di auto è diminuita – tra le altre cose – a causa di stagnazione economica, inflazione e tassi d’interesse elevati. Ma quando i clienti torneranno, troveranno un mercato dominato dalle elettriche, non dai motori tradizionali. Chi scommette ancora sul ritorno dei veicoli a combustione — biofuel costosi, e-fuel o veicoli ibridi, che fanno ancora in gran parte leva sulla tecnologia endotermica — semplicemente si illude.
L’Europa è a un bivio – Solo mantenendo fermi gli obiettivi attuali il settore auto europeo ha una reale possibilità di competere nel mercato globale dei veicoli elettrici. Indebolirli significherebbe aggrapparsi a rendite di posizione sempre più esili, e rimanere ancora più indietro in termini di innovazione. In altre parole: rallentare la transizione non aiuta. Peggiora la nostra posizione competitiva.
L’industria automobilistica europea si è resa conto tardi di essere indietro rispetto alla Cina. Ma ogni esitazione, oggi, è un vantaggio ulteriore per Pechino, che non rallenterà la corsa verso l’elettrico solo perché noi prolunghiamo la vita dei motori endotermici. Mentre i consumatori europei, nel frattempo, smetteranno di acquistare una tecnologia di qualità inferiore e già oggi, in molti Paesi, più costosa. Se l’Ue fa marcia indietro ora, rischia di perdere il più grande cambiamento industriale di questa generazione, abbandonando l’ambizione di padroneggiare una delle tecnologie più importanti del XXI secolo e i vantaggi industriali, economici e sociali che ne derivano.
Ora è il momento di mantenere la rotta e, per i decisori, di mostrare leadership e visione. Puntare su e-fuel e biofuel, su ibridi e su veicoli a combustione “efficienti” è la direzione certa per trasformare l’Europa in un museo dell’auto.
*direttore T&E Italia