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Una pandemia invisibile minaccia i ricci di mare e i reef globali: scheletri bianchi dalle Canarie fino all’Oceano Indiano

In meno di 48 ore, intere popolazioni di Diadema scompaiono dai fondali. La loro estinzione potrebbe trasformare irreversibilmente gli ecosistemi corallini. Gli studi degli scienziati su un fenomeno aggressivo e ancora poco compreso
Una pandemia invisibile minaccia i ricci di mare e i reef globali: scheletri bianchi dalle Canarie fino all’Oceano Indiano
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Negli ultimi quattro anni, una pandemia invisibile sta decimando i ricci di mare in vaste regioni del pianeta. Dai Caraibi al Mar Rosso, fino all’Oceano Indiano, alcuni dei più importanti ingegneri degli ecosistemi marini stanno scomparendo nel giro di poche ore, trasformando fondali un tempo dominati dai coralli in distese di scheletri bianchi e alghe invasive. La nuova ondata registrata alle Canarie tra il 2022 e il 2023 rappresenta una tappa critica di questa crisi globale, con caratteristiche ancora in parte misteriose.

I ricci del genere Diadema svolgono un ruolo essenziale nel mantenere in equilibrio gli ecosistemi costieri: brucano le alghe, impediscono che soffochino i coralli, sostengono la biodiversità e regolano l’intero funzionamento del reef. Ma quando un patogeno li colpisce, l’effetto è immediato e devastante. Lo mostrano i dati raccolti da Iván Cano e colleghi, pubblicati su Frontiers in Marine Science. Tra l’estate 2022 e il 2023, Diadema africanum ha cominciato a morire in massa sulle coste delle isole occidentali dell’arcipelago delle Canarie, per poi essere colpito su tutte le sette isole principali. Gli animali smettevano di muoversi, perdevano le spine e la carne, fino a ridursi in pochi giorni a gusci vuoti.

Le analisi condotte su 76 siti indicano che l’abbondanza attuale di D. africanum è “ai minimi storici”, con popolazioni prossime all’estinzione locale: rispetto al 2021, il calo è stato del 74% a La Palma e del 99,7% a Tenerife. Ancora più preoccupante è il crollo della riproduzione: sulle coste orientali di Tenerife, le trappole per larve hanno raccolto quantità “trascurabili”, e nelle zone di insediamento non è stato trovato alcun giovane riccio. In pratica, la popolazione non sta rimpiazzando le perdite.

Il quadro che emerge, però, non riguarda soltanto le Canarie. Gli autori sottolineano che eventi simili sono stati osservati “approssimativamente nello stesso periodo” nei Caraibi, nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nel Mare di Oman e nell’Oceano Indiano occidentale. A differenza del caso canario — dove il patogeno non è ancora identificato — altri studi hanno dimostrato che la pandemia in corso in queste regioni è causata da uno scuticociliata parassita del genere Philaster, capace di uccidere oltre il 90% degli individui colpiti. È lo stesso agente responsabile delle morti nel Mar dei Caraibi nel 2022 e delle più recenti morie nel Mar Rosso e a Réunion, come dimostrato dalle ricerche del team dell’Università di Tel Aviv, pubblicate su Ecology e Current Biology.

Ciò che accomuna queste crisi è la rapidità dei focolai: spesso, in meno di 48 ore, intere popolazioni si trasformano in carcasse fragili sbriciolate dai predatori. Le cause ambientali — tempeste, ondate anomale, cambiamenti nella temperatura dell’acqua — potrebbero agire come fattori scatenanti, ma nel caso delle Canarie la natura dell’agente rimane aperta. Precedenti eventi nell’arcipelago erano stati associati ad amebe come Neoparamoeba branchiphila, mentre altrove i responsabili sono ciliati. Senza un’analisi genetica, non è possibile stabilire se la moria canaria sia parte della stessa pandemia globale.

Il risultato, però, è già visibile: la scomparsa di un regolatore ecologico cruciale apre la strada all’espansione delle alghe, altera la struttura del reef e può avviare una trasformazione irreversibile degli ecosistemi costieri. Per gli scienziati, la priorità ora è duplice: chiarire la natura del patogeno alle Canarie e monitorare in tempo reale la diffusione delle morie nel resto del mondo. In mancanza di interventi tempestivi — e non esistendo alcuna cura per i ricci infetti — interi tratti di fondale potrebbero cambiare volto per generazioni.

Il team di Tel Aviv guidato da Bronstein ha sviluppato una nuova tecnologia di campionamento genetico subacqueo. La tecnologia — un kit simile a un test COVID per uso subacqueo — consente di prelevare campioni genetici dagli animali senza danneggiarli e senza rimuoverli dal mare. Il metodo ha già permesso raccolte su larga scala in Eilat, Gibuti e Réunion, offrendo uno strumento cruciale per monitorare l’epidemia in tempo reale. Nella ricerca pubblicata su Ecology, Bronstein e colleghi dimostrano geneticamente che lo stesso patogeno individuato nel Mar Rosso e nei Caraibi è responsabile della mortalità registrata nell’Oceano Indiano, in particolare a Réunion. Il team definisce la situazione “un’estrema pandemia globale”, con mortalità superiori al 90% in regioni critiche per le barriere coralline. Al momento non ci sono prove della presenza del patogeno tra i ricci dell’Oceano Pacifico, ma sono in corso indagini specifiche.

Lo studio su Current Biology ricostruisce in dettaglio la progressione dell’epidemia nel Mar Rosso. Qui, l’agente patogeno ha sterminato intere popolazioni di Diadema setosum in meno di 48 ore, trasformando gli individui in “scheletri privi di tessuti e spine”, spesso divorati dai predatori prima della morte. Le due specie un tempo dominanti nel Golfo di Aqaba “sono oggi praticamente scomparse”.

Un elemento chiave è la possibile diffusione tramite il trasporto marittimo. I ricercatori hanno documentato la propagazione del patogeno lungo rotte commerciali, con un caso emblematico: il primo focolaio nel Sinai è apparso nel porto di Nuweiba, dove attracca il traghetto da Aqaba, già colpita dall’epidemia. Due settimane dopo, la malattia è stata rilevata a Dahab, 70 chilometri più a sud. Poco tempo dopo, come previsto dal gruppo, la pandemia è comparsa anche in Africa occidentale, lungo le stesse rotte navali tra Caraibi, Mediterraneo e Mar Rosso.

La pandemia ha ormai colpito Caraibi, Mar Rosso, Golfo di Aqaba, Mediterraneo orientale, Isole Canarie, Madeira, Oceano Indiano. Per ora, il Pacifico sembra essere l’unico grande bacino risparmiato, ma non ci sono garanzie che la situazione duri. Le conseguenze ecologiche potrebbero essere enormi. In molte regioni, come ricordano tutti gli studi, i ricci del genere Diadema sono “i giardinieri dei reef”, gli unici in grado di controllare la crescita delle alghe e permettere ai coralli di sopravvivere. La loro scomparsa può innescare un collasso simile a quello dei Caraibi del 1983, dove un evento di mortalità trasformò interi reef in campi di alghe — un cambiamento ancora irreversibile dopo quarant’anni.

Non esistono cure o vaccini. I ricercatori stanno lavorando su due fronti: prevenzione della diffusione tramite controlli sulle rotte marittime e creazione di nuclei isolati di allevamento in strutture completamente scollegate dal mare, come quello istituito di recente presso l’Aquarium di Gerusalemme. Il quadro che emerge dai cinque studi è quello di una pandemia veloce, aggressiva e ancora poco compresa, che rappresenta una minaccia senza precedenti per le barriere coralline globali. Mentre la scienza sviluppa nuovi strumenti diagnostici e modelli ecologici, la domanda cruciale resta aperta: capire perché la pandemia è esplosa ora — e come impedirne l’arrivo nel Pacifico, dove si trovano gli ecosistemi corallini più vitali del pianeta.

Foto: Università di Tel Aviv e Jean-Pascal Quod

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