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La Dichiarazione universale dei diritti umani compie 77 anni, ma la situazione è drammatica

Nel 77esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, il sistema di protezione internazionale è al collasso
La Dichiarazione universale dei diritti umani compie 77 anni, ma la situazione è drammatica
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Il 77esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani cade, questo 10 dicembre, in un periodo drammatico per la situazione dei diritti umani nel mondo. Viene sempre più tradita quell’aspirazione in un mondo in cui non ci sarebbero più stati gli orrori della Seconda guerra mondiale: la Shoah, le distruzioni delle città, le bombe atomiche, le deportazioni di massa, mille altre cose. Un mondo lontano dalla paura, in cui affermare i diritti umani al posto del diritto del più forte.

Il sistema di protezione internazionale dei diritti umani che, a partire dalla Dichiarazione, era stato via via codificato da trattati, convenzioni, da obblighi degli stati liberamente assunti, oggi è al collasso.

Questo collasso è evidente nei conflitti: nella guerra russa contro l’Ucraina costellata da crimini di guerra furibondi e feroci contro i civili e contro le infrastrutture civili, che dal 2022 hanno lasciato al buio e al gelo milioni e milioni di persone ucraine nei loro appartamenti, almeno quelli che non erano stati bombardati dall’esercito di Mosca.

Lo stesso collasso lo stiamo vedendo nella Striscia di Gaza, dove a seguito dei crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi da Hamas e da altri gruppi armati palestinesi il 7 ottobre 2023 contro la popolazione civile israeliana, il governo di Tel Aviv ha risposto con un genocidio, tuttora in corso.

In mezzo, l’inizio di quella che oggi è la più grave crisi umanitaria al mondo, quella del Sudan, con 12 milioni di persone che sono state cacciate dalle loro case e decine di migliaia di persone uccise, torturate, sottoposte a stupri.

Queste e molte altre sono crisi favorite da vendite irresponsabili di armi, nonostante i divieti; sono alimentate da un’idea delle relazioni internazionali per niente basata sulla tutela dei diritti: chi ha più forza militare ma anche politica determina il destino del resto del mondo. Chi ha più forza cerca di imporre soluzioni che diano soddisfazione a coloro che hanno prodotto i danni maggiori: considera la giustizia una specie d’intrusa, organizza tavoli negoziali in cui le persone direttamente colpite e di cui si decide il futuro sono del tutto assenti.

Domina un modello di doppi standard per cui si giudicano i crimini non in base a cosa è stato fatto ma a chi li ha commessi: dunque si condannano o si condonano a seconda del loro autore e si plaude alla giustizia internazionale quando conviene o la si delegittima quando non conviene.

Insomma, è una situazione drammatica.

Ne abbiamo conosciute altre. Gli anni Novanta dello scorso secolo non sono stati meno peggiori di questo periodo. Ma oggi c’è una tendenza, favorita dalle narrazioni dominanti sulle piattaforme social, che vede i diritti umani non come innati, come la stessa Dichiarazione del 1948 sancisce, ma come qualcosa che si deve meritare comportandosi “bene”.

Accompagnata a questa tendenza ce n’è una seconda: quella che vede i diritti come una sorta di prodotto in via di esaurimento e quindi chi fa prima se li prende e peggio per chi rimane senza perché è arrivato dopo: nelle forme estreme di nazionalismo, i diritti vengono prima per noi e poi per gli altri, ammesso che avanzi qualcosa. Dove c’è qualcuno di noi, andiamo a dargli diritti ovunque sia. Se qualcuno è in mezzo a noi ma non è uno di noi, glieli togliamo.

È un ciclo che terminerà prima o poi. Ma se accadrà, non sarà grazie al pentimento dell’autoritarismo di Trump, Putin, Xi, Erdogan, al-Sisi, bin Salman, Khamenei, Modi, Maduro e tanti altri. Né grazie alle armi. Sarà perché le società civili, che sono sempre tanto avanti rispetto ai governi, resisteranno a quell’autoritarismo, lo contrasteranno nelle piazze, lo sconfiggeranno nei contenziosi giudiziari nelle aule di tribunale.

E compito della società civile riaffermare un po’ di cose: che i diritti o sono per tutte e per tutti o non sono, che la giustizia non è un problema ma è la soluzione all’impunità, che qualunque pace senza giustizia e diritti è destinata a non durare.

Di fronte ai sostenitori del diritto del più forte, di fronte agli autoritarismi, a queste leadership sempre più inclini a fare per conto proprio, a occuparsi delle risorse del mondo come se il mondo fosse loro, a fregarsene della crisi climatica perché la pagherà qualcun altro, dobbiamo ribadire che il mondo è di tutte e di tutti.

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