
La perizia esclude in modo netto la possibilità di rispondere a tre domande chiave nell’ambito forense: come, quando e perché quel materiale genetico sia finito sotto le unghie della vittima. La difesa di Sempio: "Valenza zero"
Una compatibilità genetica, come già emerso nei giorni scorsi, ma non un’identificazione. È questo il cuore della nuova perizia depositata nell’incidente probatorio sul delitto di Garlasco, in cui la genetista forense Denise Albani ha analizzato il materiale biologico rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi, la giovane uccisa il 13 agosto 2007. Quel Dna “misto, incompleto e non attribuibile” come già definito dalla genetista non potevano che portare all’impossibilità di una identificazione individuale. Una evidenza che Albani aveva già chiarito.
Secondo i calcoli biostatistici eseguiti da Albani – calcoli che valutano la probabilità che un profilo genetico appartenga a una specifica linea familiare – il Dna recuperato presenta un “supporto moderatamente forte/forte e moderato” all’ipotesi che provenga dalla linea maschile della famiglia Sempio. Dunque, compatibile con Andrea Sempio e con qualunque altro parente maschio legato a lui per via paterna. Si tratta però di un’analisi basata sull’aplotipo del cromosoma Y, un segmento ereditato esclusivamente lungo la linea maschile diretta. Per questo motivo, chiarisce la perita, “non è possibile addivenire a un esito di identificazione di un singolo soggetto”. Il cromosoma Y, infatti, non permette di distinguere tra individui imparentati: tutti gli appartenenti alla stessa linea maschile condividono lo stesso aplotipo. Albani sottolinea inoltre che l’identificazione individuale non sarebbe possibile nemmeno se i profili genetici fossero “completi, consolidati e attribuibili a una singola fonte”. È una caratteristica intrinseca dell’analisi del cromosoma Y, non un limite dei dati specifici del caso.
Il materiale biologico analizzato è definito dalla perita come costituito da “aplotipi misti parziali”: tracce incomplete, composte da più contributi genetici e alterate dalle condizioni del campionamento. La quantità esigua e il deterioramento del Dna non consentono, spiega Albani, di ottenere un risultato “certamente affidabile”. La perizia esclude in modo netto la possibilità di rispondere a tre domande chiave nell’ambito forense: come, quando e perché quel materiale genetico sia finito sotto le unghie della vittima. Secondo le attuali conoscenze internazionali – e gli standard scientifici validati – non è possibile determinare: se il Dna fosse depositato sopra o sotto le unghie; da quale dito esattamente provenga, nell’ambito della stessa mano;
la modalità di deposizione (contatto diretto, trasferimento secondario tramite oggetto, contaminazione ambientale); il momento in cui la deposizione è avvenuta. Le ipotesi formulabili, dunque, restano “suggestive” e non dimostrabili senza un contesto informativo più ampio o dati sperimentali “granitici”, oggi non disponibili.
Non c’è alcuna “indicazione” circa il “destino” della decima unghia della vittima, né è possibile una “attribuzione numerica” alla “distinzione anatomica delle cinque dita” fra pollici, indici, medi, anulari e mignoli secondo la scienziata in forze alla Polizia di Stato. Albani, allieva del genetista Emiliano Giardina, ricusato dai pm per aver rilasciato una intervista, ha ricostruito puntualmente in perizia la storia dei “margini ungueali”.
Tagliati nel corso della “autopsia” e inseriti a gruppi di 5 in due provette (“una singola provetta” per mano) il materiale è stato oggetto dei primi “accertamenti genetico – forensi” del Ris di Parma nel 2007 che però “hanno riguardato” solo “9” a “eccezione dei frammenti” della decima, convenzionalmente attribuita al mignolo della mano sinistra. È stato asportato “materiale biologico con tampone” e le analisi dell’epoca hanno dato “esito positivo” per il Dna umano (in particolare il profilo di Chiara Poggi) e “negativo” per il “Dna maschile”.
Nel 2014 durante la perizia affidata al professor Francesco De Stefano all’Università di Genova si è deciso in condivisione “con le parti” del processo di procedere alla “totale distruzione” delle unghie nella fase di “estrazione del Dna”. Così come sempre con l’accordo della Procura generale di Milano, della difesa di Chiara Poggi e quella di Alberto Stasi “non è stata volutamente eseguita la fase di quantificazione del Dna”, aggiunge la perita. “La tecnica di estrazione del Dna applicata” applicata nel processo d’appello bis alle unghie “ha comportato un lavaggio e conseguente discioglimento” delle stesse, tale per cui “non è possibile definire se” il profilo “maschile” sia “sopra o sotto le unghie”. Inoltre prosegue la perita la decisione condivisa con le parti di procedere con la “quantificazione” del Dna ha “di fatto impedito di conoscere” all’origine “la concentrazione di Dna umano totale e maschile presente”. Albani aggiunge che le varie sessioni realizzate in “un arco temporale di circa 40 giorni” possono aver avuto “potenziali effetti sulla degradazione e sugli esiti finali” nonostante le “corrette condizioni di conservazione delle tracce nel corso delle attività”.
La genetista fa riferimento a “molteplici criticità riscontrate nella disamina degli atti” sul Dna e anche alle “limitazioni in termini di conoscenze e applicativi attualmente disponibili nella comunità scientifica internazionale per le valutazioni biostatistiche (uno fra tutti l’assenza di un database che contempli la popolazione locale d’interesse)”. In sostanza, l’esperta, nominata dalla gip di Pavia Daniela Garlaschelli, da un lato, chiarisce che i dati documentali delle tracce genetiche estrapolate dalle unghie di Chiara Poggi dal perito De Stefano nel 2014, nell’appello bis per Alberto Stasi, non sono consolidati né affidabili dal punto di vista scientifico. Dall’altro lato, con le analisi biostatistiche arriva ad individuare una compatibilità del profilo genetico su due dita di Chiara con quello della linea maschile Sempio. Sempre Albani, tuttavia, da contò anche delle “limitazioni” delle attuali analisi biostatistiche, spiegando che “pur attingendo dal database con il maggior numero di aplotipi attualmente disponibili a livello internazionale“, si possono ottenere “risultati” che sono, comunque, “sottostimati”.
“Causa l’indisponibilità di un database di popolazione relativo e circoscritto alla zona in cui è avvenuto il fatto (Garlasco e dintorni) – si legge nella relazione – le popolazioni di riferimento disponibili consultate all’interno del database sono state la popolazione mondiale (worldwide) e la metapopolazione Western European (relativa agli aplotipi dell’Europa Centro – Occidentale di cui fa parte l’Italia)”.
Le conclusioni di Albani si fondano sulle analisi biostatistiche condotte sui dati documentali raccolti dal precedente perito, il professor Francesco De Stefano, nominato nella fase dell’appello bis ad Alberto Stasi. L’indagine dell’incidente probatorio mirava proprio a verificare la solidità scientifica di quelle tracce genetiche spesso al centro del dibattito difensivo. Ora la perizia riconosce una compatibilità con la linea maschile della famiglia Sempio, ma conferma – con nettezza – l’impossibilità di trasformare quella compatibilità in una prova individualizzante.
Il documento depositato ieri alla giudice per le indagini preliminari Daniela Garlaschelli consegna quindi alla magistratura un quadro tecnico, che delimita con precisione ciò che la scienza può dire e ciò che, allo stato delle conoscenze, non è possibile affermare. Un tassello importante in un caso che, a oltre 17 anni dall’omicidio, continua a oscillare tra nuove piste e vincoli oggettivi posti dalla prova scientifica che, in assenza di un match, non può portare oltre le ipotesi della procura di Pavia. Senza contare che tutti gli altri test su i diversi reperti non hanno trovato riscontro su Andrea Sempio. Che come è noto, essendo amico del fratello della vittima, frequentava la villetta di via Pascoli, dove i ragazzi si trovavano per giocare anche con il computer usato dalla 27enne uccisa il 13 agosto del 2007 e per cui è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi.
“Le valutazioni statistiche sono state fatte su risultati non consolidati, possibilmente ‘artefatti’ (cioè erronei), che attestano Dna di più persone, che non si sa se depositato in seguito a contatto diretto o con una stessa superficie, non si sa oltretutto quando: queste le premesse della perizia, che, in tutta evidenza, svalorizzano le conclusioni statistiche su quei dati” afferma l’avvocato Liborio Cataliotti che insieme alla collega Angela Taccia assistono Andrea Sempio. Parole pronunciate dalla difesa dopo aver preso atto delle conclusioni della perizia della genetista Denise Albani che pur riconoscendo che la traccia genetica trovata sulle unghie della vittima è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio – il cromosoma Y non identifica una sola persona – “in questo caso si tratta di aplotipi misti parziali per i quali non è possibile stabilire con rigore scientifico” se la traccia è “sotto o sopra le unghie della vittima”, se l’origine “è per contaminazione, per trasferimento diretto o mediato” e “quando” è stato lasciato il materiale biologico. Alla domanda quanto peso ha la perizia contro Sempio, la risposta del difensore è netta: “Zero”.
“Dal 2014 fino ad oggi si diceva che il Dna sulle unghie di Chiara Poggi fosse degradato e non confrontabile. Oggi la nuova perizia, confermando integralmente quella della Procura di Pavia e quelle della difesa Stasi, supera queste conclusioni e, pur considerando le caratteristiche di questo Dna Y (più volte ribadite anche dai consulenti di parte), conclude per una concordanza forte e moderatamente forte con l’aplotipo Y di Andrea Sempio su due unghie di due mani diverse della vittima” sostiene l’avvocata Giada Bocellari, che assiste Alberto Stasi con il legale Antonio De Rensis. “Inoltre, la dottoressa Albani cristallizza l’assenza totale di Dna di Stasi, che viceversa non era stato escluso dal Prof De Stefano. Finalmente un primo punto fermo in questa nuova indagine”.
Le impronte di Stasi mischiate al Dna di Chiara furono invece ritrovate sul dispenser del sapone dove l’assassino si lavò le mani lasciando le impronte sul tappetino del bagno. Il Dna della vittima fu poi trovato sul pedale della bicicletta sequestrata, solo nel 2014, a sette anni dall’omicidio, dopo che qualcuno aveva già sostituito i pedali. Su uno dei quali furono rilevate tracce del Dna di Chiara Poggi. Una prova che, se acquisita subito, avrebbe potuto cambiare il tortuoso iter processuale per Stasi (assoluzione e poi condanna nell’appello bis, ndr). “Un anello mancante” nell’andamento dell’attività investigativa secondo la Cassazione che aveva confermato la condanna a 16 anni.
“Dalla lettura delle conclusioni della perizia svolta con serietà e riserbo dalla Polizia di Stato apprendiamo che nulla di nuovo è emerso a carico di Sempio rispetto a quanto già noto. Sono trascorsi ormai oltre nove mesi da quando, con cadenza quotidiana, la famiglia Poggi viene esposta ad un massacrante gioco mediatico i cui fini non sono noti”. È il comunicato con cui gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, legali della famiglia della vittima Chiara Poggi commentano il deposito della perizia della genetista Denise Albani. “L’unico dato certo ed infatti trascurato è il rinvenimento di Dna del condannato Stasi e di Chiara sui reperti che testimoniano gli ultimi momenti di vita della vittima. Ci auguriamo che tutto venga alla fine valutato con la dovuta attenzione e rispetto che si devono alla sentenza coperta dal giudicato” concludono i legali.