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Così Ranucci, sul caso Garante della privacy, sembra riportare coi piedi per terra ciò che resta della sinistra

Il conduttore di Report, dopo la multa e l'attentato, evidenzia la non indipendenza di organismi che dovrebbero essere super partes
Così Ranucci, sul caso Garante della privacy, sembra riportare coi piedi per terra ciò che resta della sinistra
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E come in un gran finale degno dell’opera di Wagner, si potrebbe dire che Sigfrido ha ancora attraversato il cerchio di fuoco e baciato Brunilde addormentata, che al risveglio si è convinta a tornare nella realtà. Così Ranucci, multato dall’Authority e appena uscito indenne da un attentato, sembra aver riportato con i piedi per terra quel che resta della sinistra, mostrando l’inequivocabile non terzietà del cosiddetto Garante della Privacy.

Dopo tanti bla-bla sull’opportunità degli scoop di ‘Report’, e in particolare sulla pubblicazione dell’intercettazione telefonica relativa all’allora ministro Gennaro Sangiuliano, si potrebbe oggi dire che la trasmissione di giornalismo ‘watch-dog’ guidata da Ranucci sia arrivata addirittura a dettare la linea allo schieramento d’opposizione. Ma il problema non è appunto legato al fortunato taglio editoriale di ‘Report’ e al prestigio del suo animatore, casomai riguarda l’intossicazione da potere di cui la sinistra quasi intera, soprattutto quella storica e un po’ pure la nuova, è finita gravemente ammorbata.

E fa ancora più orrore pensare alle lottizzazioni condivise quando non riguardano tanto i grandi affari di un’Olimpiade invernale o di qualche Azienda Sanitaria Locale di prim’ordine, bensì piuttosto organismi che per legge dovrebbero essere indipendenti e sopra le parti. E’ in questo modo che si è minata a tutto spiano la credibilità delle stesse istituzioni, alimentando la materia oscura dell’antipolitica e del rigetto qualunquista, che si è tradotto nel populismo perlopiù e sempre più di destra.

La vergogna dei comportamenti di questa Authority, moltiplicata dalla stessa indifferenza con cui i lottizzati fingono ora di non dover ascoltare la voce dei partiti che li hanno indicati, non è purtroppo un caso isolato. Si potrebbe anzi dire che ci sono tantissimi esempi analoghi a quello sollevato da ‘Report’, partendo proprio dalla cultura pubblica, che ha un ruolo delicato almeno quanto quello dei vari uffici del Garante, presiedendo appunto alla cura di un elemento della convivenza civile che è vitale quanto le regole, perché ne è pre-condizione.

E’ di questi giorni la notizia di una nuova legge di riforma degli enti lirici che sta per proporre il Ministero, che potrebbe sollevare un polverone perché spodesta i sindaci e introduce nuovi criteri addirittura nazionalistici per le scelte di programmazione. Sigh! Peccato per gli appassionati che trovano sempre così belli il repertorio e i protagonisti della scena internazionale, vedi anche solo il balletto di William Forsythe in questi giorni alla Scala, per non dire della prossima sofisticata Prima con la ‘Lady Macbeth’ di Šostakovič.

Ancora più inquietante nella nuova riforma è l’insistenza sui criteri guida economicistici, pure per l’assetto dirigenziale, che prevederebbe rigorosamente la presenza di un marketing manager. Nomen omen, il sottosegretario competente Gianmarco Mazzi ha del resto appena cominciato a fare dei bei ‘mazzi’ così anche al mondo del teatro.

Il punto alquanto spinoso è che proprio la sinistra e il Pd in particolare, con due sue figure apicali come Walter Veltroni e Dario Franceschini, hanno dato la stura per primi alla svolta privatistica del mondo della cultura pubblica, stabilendo con varie dettagliate regole lo stesso principio guida post-capitalista che oggi la destra traduce a proprio favore.

Infine, da quando alla guida del governo si è accomodata la leader di Fratelli d’Italia, l’opposizione e i suoi vari rappresentanti sono rimasti saldamente seduti al tavolo delle lottizzazioni e delle nomine, alla Rai come nei teatri, digerendo tutto, a partire dai principi della moltiplicazione delle poltrone dirigenziali – che peraltro fagocita costi notevoli sottratti alla produzione di cultura – pur di mantenere qualche posizione. E’ logico che poi si ritrovino in quattro gatti quando si deve andare in piazza per strepitare contro la Rai TeleMeloni che mutila persino ‘Report’, piuttosto che davanti al Teatro di Roma per insorgere contro la nomina di un direttore o l’altro: tanto poi tutti sanno che basta l’opportuno ripescaggio di questo o di quell’accolito, e la lotta cesserà in un baleno.

Forse la malcapitata leader del Pd Elly Schlein farebbe bene a cogliere l’occasione di questo ‘risveglio dopo il bacio di Sigfrido’, per un’accurata ricognizione ex post della gran parte delle più stridenti spartizioni di potere a cui si sono accomodati i maggiorenti democratici di ieri e di oggi.

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