Sul clima Bill Gates non ha detto niente di veramente nuovo
Vi ricordate di quella vignetta ispirata al film di Al Gore, “Una Scomoda Verità?”. Faceva vedere un gran numero di persone che si affollavano intorno a un chiosco che vendeva “Bugie Rassicuranti” mentre nessuno comprava dal chiosco vicino che aveva scritto “Verità Scomode” sull’insegna.
E’ più o meno quello che sta succedendo oggi con il cambiamento climatico. Di fronte a una realtà che si sta facendo sempre più minacciosa e preoccupante, si cerca di ignorarla, negarla, o inventarsi scappatoie. L’ultima uscita in questo senso è stata quella di Bill Gates con le sue “Tre verità scomode sul clima,” comparso pochi giorni prima dell’inizio della COP30 in Brasile e che sta facendo molto discutere.
Gates non dice che il cambiamento climatico non esiste e neppure che non si deve fare niente in proposito. E’, piuttosto, un invito a un approccio più realistico dopo decenni di fallimenti nel tentativo di fermare il riscaldamento mediante riduzioni delle emissioni. Il problema è che in politica non esistono sfumature: tutto è bianco o nero, o giusto o sbagliato. Così il documento di Gates è stato salutato dagli scettici climatici come una specie di ritorno del figliol prodigo, incluso Donald Trump che ufficialmente ha ringraziato Gates per aver “ammesso di essersi sbagliato”. Da noi, la destra c’è andata a nozze con i soliti insulti e accidenti agli estremisti verdi e ai “gretini”.
Ma è anche vero che in politica tutto quello che succede, succede per qualche ragione. Se è vero che Gates non ha detto niente di veramente nuovo, è vero che il suo documento è un punto di svolta, un “tipping point” non climatico ma politico. In sostanza, fino a oggi, la discussione sul cambiamento climatico era basata più che altro sulla fisica dell’atmosfera: di quanto dobbiamo ridurre le emissioni per evitare che la temperatura aumenti oltre un certo limite?
Il problema è che i modelli climatici non contengono parametri economici. Non ci dicono qual è il ritorno economico di fare certe cose per fermare il cambiamento o i danni che deriveranno dal non farle. Questo dovrebbe essere un lavoro per gli economisti, ma la maggior parte dei modelli economici ha il problema opposto: non contengono parametri climatici.
Tuttavia, già negli anni 1970, un economista americano, William Nordhus (premio nobel per l’economia nel 2018), aveva cominciato a lavorare sul modello DICE (Dynamic Integrated Climate-Economy) per rispondere valutare direttamente i costi delle politiche climatiche. Questo approccio ha dato origine a un’intera scuola di economia. I risultati recenti li potete leggere per esempio nel libro di Dean Spears and Michael Geruso After the Spike (2025).
I risultati del modello DICE e dei suoi discendenti vanno in direzione opposta a tutto quello che era stato enfatizzato fino ad oggi. Ovvero, il modello ci dice che non è conveniente investire risorse importanti per fermare il cambiamento climatico, perlomeno a breve termine. Non ne vale la pena. Invece, dobbiamo concentrarci su far crescere l’economia e sviluppare nuove tecnologie. In un futuro più lontano, potremo fermare il cambiamento prima che diventi pericoloso. Se ci fate caso, più o meno questo è quello che ha detto Bill Gates: concentriamoci sulla crescita economica, e tutto andrà bene.
Ma ci possiamo fidare del modello DICE? Si sa che i modelli sono come le pistole, se uno li usa senza sapere bene cosa fa, qualcuno rischia di farsi male. Una critica dettagliata al modello sarebbe cosa lunga; mi limito qui a notare che è basato sull’ipotesi che i danni economici creati dal riscaldamento globale sono proporzionali al quadrato dell’aumento della temperatura. Un po’ arbitrario, francamente. Ma, più che altro, è notevole che nel modello, non ci sono uragani, ondate di calore, siccità, fusione dei ghiacciai, aumento del livello del mare; niente del genere. Un aumento di 3-4 °C della temperatura media dell’atmosfera da qui al 2100 non ha altro effetto che una perdita di qualche punto percentuale del Pil globale. A questo punto, vi può venire il legittimo dubbio che il modello DICE sia decisamente troppo ottimistico.
D’altra parte, è anche vero che la politica è alla continua ricerca di soluzioni semplici per problemi complessi. Quindi, non c’è da stupirsi se il modello DICE sia popolare in questo momento. Ci racconta una bugia rassicurante, quella che non abbiamo bisogno di fare nulla contro il cambiamento climatico, è un problema che risolveranno i nostri figli. E se non ci riusciranno? Beh, dopotutto, cosa hanno fatto per noi le future generazioni?
Per i prossimi anni, vedremo i governi occidentali agire secondo questa idea. Le conseguenze potrebbero essere pesanti per tutti, ma al momento sembra una tendenza inevitabile. A noi non resta che non farsi imbrogliare continuare a lavorare sulla resilienza e sulla transizione energetica, perlomeno a livello locale. Poi, le future generazioni giudicheranno (sperando che ce ne saranno).
