Difendere il diritto d’asilo non è mai stato così urgente. La class action in Veneto è un primo tassello
di Chiara Trevisani*
A 12 anni dalla tragedia di Lampedusa, in cui persero la vita oltre 348 migranti a pochi metri dalle coste italiane, interrogarsi sul presente e futuro del diritto di asilo, oggi sempre più sotto attacco, diviene non solo opportuno, ma doveroso.
Se per decenni il diritto d’asilo è stato riconosciuto come inalienabile e imprescindibile, ampliato e tutelato dalle legislazioni sovranazionali e nazionali e dalle sentenze delle corti di giustizia, stiamo assistendo, negli ultimi anni, al fenomeno inverso. Si può constatare, infatti, l’esplicita intenzione di molti governi europei, incluso quello italiano, di eroderlo e svilirlo in maniera graduale, goccia dopo goccia. Creando un sistema europeo sempre più chiuso, come sta avvenendo grazie al Nuovo Patto Europeo sulle Migrazioni e l’Asilo, definendo un approccio securitario per la gestione delle migrazioni. Arrivando a mettere in discussione le regole che hanno dato vita ai nostri sistemi democratici, come ha fatto la Premier Meloni di recente di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: “Le Convenzioni non sono più attuali quando vengono interpretate in modo ideologico e unidirezionale da magistrature politicizzate”, ha tenuto a sottolineare.
Eppure, il diritto d’asilo non è mai stato così attuale e la sua difesa più urgente. Guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani, carestie e cambiamenti climatici si sono moltiplicati negli ultimi anni, costringendo sempre più persone a fuggire dal proprio paese, come ci dimostrano i dati del global trends 2025 di UNHCR. Alla fine del 2024 i migranti forzati erano oltre 123 milioni, 7 milioni in più rispetto al 2023. Nell’ultimo decennio il numero di migranti forzati è quasi raddoppiato rispetto ai 10 anni precedenti.
Alimentando le paure inconsce, creando nei migranti e nelle culture altre il nemico comune da fronteggiare, c’è una parte politica che cerca di affermare una identità nazionale (che per sua natura, in realtà, è composta da identità multiple). Lavorando, allo stesso tempo, per ridurre lo spazio dei diritti di coloro che sono percepiti come non appartenenti al gruppo predominante. Ma tale spazio, la storia ce lo insegna, quando viene ridotto per una parte della popolazione, viene ridotto per tutti e tutte. L’erosione dei diritti fondamentali porta con sé una maggiore debolezza sociale e lo svilimento dei diritti della collettività.
Le limitazioni al diritto d’asilo imposte dalla burocrazia e dalle disfunzioni in Italia
Oltre all’erosione dello spazio delle tutele a livello formale e legislativo da parte dei governi, ci sono anche una serie di disposizioni di carattere amministrativo e prassi illegittime che, insieme alla scarsità di personale e ad una burocrazia farraginosa, in Italia riducono de facto la possibilità di accedere al diritto di asilo.
“Non riesco ad accedere alla Questura per fare richiesta di asilo. Dormo da 7 notti davanti al portone per poter essere chiamato. È vero, io sono un uomo giovane, ma con noi c’è anche una signora anziana che porta con sé un materasso per distendersi e una ragazza di 19 anni da sola”, ha raccontato ad Oxfam A., 23 anni, pakistano. “Ho espresso la mia volontà di richiedere asilo, ma in mancanza di un posto dove vivere e di un progetto di accoglienza, non posso formalizzarla. Aspetto da 5 mesi”, sottolinea F., 18 anni, tunisino.
Come evidenziato da un recente rapporto di ASGI, in molte questure d’Italia ci vogliono a volte settimane prima di ottenere un appuntamento per esprimere la volontà di richiedere asilo e passano spesso molti mesi prima che, dalla presentazione della domanda, si passi alla sua formalizzazione.
Non poter accedere alla domanda di asilo significa cadere nell’illegalità
Non potere accedere alla domanda di asilo può voler dire che se la persona viene fermata dalle forze dell’ordine non può dimostrare la propria regolarità di soggiorno e potrebbe essere destinataria di un provvedimento di espulsione. Significa che non può lavorare regolarmente, avere un medico di base o accedere ad alcun servizio, come ad esempio un posto letto nei mesi più freddi dell’anno. Implica non poter fare richiesta delle misure di accoglienza e, quindi, in molti casi, non avere una vita dignitosa.
La class action contro le prassi illegittime delle Questure di Vicenza e Venezia
Per tutelare il diritto delle persone ad accedere all’asilo, Oxfam Italia, insieme a Casa di Amadou e Spazi circolari, si è quindi unita al ricorso presentato da ASGI, CADUS, Emergency e Lungo la Rotta Balcanica contro le Questure di Vicenza e di Venezia, in quanto emanazione del Ministero dell’Interno, per l’accertamento della lesione dei diritti delle persone straniere e la violazione dei tempi per la formalizzazione della domanda di protezione internazionale.
Non che in altre Questure i tempi di attesa per accedere alla domanda di asilo siano molto inferiori rispetto a quelle citate in giudizio, in media più di 6 mesi, ma la class action intende partire da alcune realtà specifiche, per poi affrontare le prassi illegittime attuate in altri territori. Tanto più che le due province in questione sono emblematiche rispetto alla crescente quantità di richieste di asilo che devono trattare. Il numero di persone che transitano attraverso la cosiddetta rotta balcanica, è ad oggi assai più alto, rispetto agli arrivi via mare, ad esempio attraverso la rotta del Mediterraneo centrale.
La prima importante risposta del TAR Veneto
Ebbene, lo scorso 24 settembre, il Tar Veneto ha emesso due ordinanze istruttorie di rilievo su alcuni punti chiave sollevati dalla class action. Prima di tutto ha legittimato le azioni promosse esclusivamente da associazioni, anche in assenza di persone fisiche ricorrenti, cosa che risulta fondamentale per ribadire il principio che anche coloro che si occupano della tutela dei diritti dei migranti possono intervenire in giudizio a difesa delle collettività che tutelano.
In secondo luogo, il Tar ha chiesto un’assunzione di responsabilità al Ministero dell’Interno. Non limitandosi ad ordinare di dare prova dei presunti miglioramenti nelle tempistiche di formalizzazione delle domande di asilo, ma pretendendo la dimostrazione dell’adozione di misure strutturali per superare la palese inefficienza nelle procedure di registrazione delle domande.
Entro 90 giorni dal giudizio, il Ministero dovrà presentare una relazione dettagliata, che potrebbe mettere in luce le disfunzioni di un sistema che in tutto il territorio nazionale riduce lo spazio di tutela delle persone di origine straniera.
Le due ordinanze del Tar Veneto rappresentano quindi piccoli, ma primi importanti tasselli nella difesa del diritto d’asilo.
*Legal Officer & Migration Policy Advisor di Oxfam Italia