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Festa del Fatto Quotidiano

Ultimo aggiornamento: 9:17 del 10 Settembre

Ranucci alla festa del Fatto: “Ci stanno desertificando l’informazione. Sarà come un cimitero, con lapidi tutte uguali”

“Un paese malato”. L’allarme di Ranucci contro le nuove restrizioni all’informazione
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Alla Festa del Fatto Quotidiano, in corso al Circo Massimo fino a domenica 14 settembre, il giornalista di Report Sigfrido Ranucci ha denunciato le crescenti difficoltà del giornalismo investigativo in Italia: querele temerarie, tagli in Rai e ora la “legge bavaglio” voluta dal governo Meloni.

Passiamo più tempo a difenderci che a lavorare – ha raccontato –. Tra querele, cause civili, il garante della privacy o l’Agcom, siamo costantemente sotto pressione. Ma ciò che mi preoccupa di più è l’indifferenza con cui tutto questo avviene. L’informazione sembra qualcosa di lontano, invece è un diritto che va difeso. Se le decisioni vengono prese nel buio, peggiora la qualità della nostra vita. Ci stanno sfilando la memoria e la conoscenza. Questo non è solamente un problema del governo attuale, ma è avvenuto negli ultimi decenni con una serie di provvedimenti”.
E si rivolge al pubblico presente: “Voi il diritto di essere informati lo dovete difendere, non dovete consentire a nessuno di rendervi infelici. Questo non possiamo permettercelo”.

Ranucci ha ricordato come negli ultimi anni la redazione di Report abbia subito pesanti ridimensionamenti: “Ci hanno tagliato quattro puntate, eppure il contratto di servizio della Rai prevede di valorizzare il giornalismo d’inchiesta. A firmarlo è stato il ministro dello Sviluppo Economico Adolfo Urso, lo stesso che poi ha querelato quattro nostri colleghi. Un paradosso”.

Il conduttore ha citato poi la legge che chiede l’arresto per i giornalisti che divulgano informazioni illecitamente raccolte: “Adesso, io faccio fatica a pensare a dei colleghi che siano dei ricettatori. A me viene più facile pensare a tutti quei colleghi della stampa internazionale, dei consorzi di giornalismo investigativo internazionale, come l’International Center for Journalists, l’Organized Crime and Corruption Reporting Project o l’Investigative Reporting Project Italy, con i quali noi abbiamo anche collaborato in passato e che hanno svolto delle inchieste importanti per la collettività. Dietro quei consorzi si nascondono colleghi del Le Monde, del New York Times, della BBC. Noi – ha continuato – avevamo realizzato delle inchieste come i Paradise File e i Panama Papers. Hanno rivelato miliardi sottratti alla collettività e nascosti nei paradisi fiscali: meno sanità, meno welfare, meno giustizia. Quelle indagini furono possibili grazie a documenti sottratti illecitamente. Negli Stati Uniti i consorzi che le pubblicarono vinsero il Pulitzer. In Italia rischieremmo il carcere. È il segno che viviamo in un paese malato”.

Durissime le parole sulla norma-bavaglio, che vieta di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare fino all’udienza preliminare: “Chi è che non è a favore della presunzione d’innocenza? Io ho 220 querele, sono il primo a dire viva l’innocenza, sempre. Il problema è: la tuteli con maggiori informazioni o col segreto? Perché vedete, il segreto è solamente nella testa di chi ha concepito questa legge. Perché qualcuno il segreto lo conosce, e se coinvolge tra gli arrestati qualcuno che ha a che fare con la cosa pubblica, può diventare uno strumento di ricatto. Noi stiamo scivolando verso l’oblio di Stato”.

La chiusura di Ranucci è affidata a un detto popolare che fotografa lo stato dell’informazione: “C’è un detto che semplifica il concetto di desertificazione dell’informazione. Io sono nato alla Garbatella prima della Meloni. Un domani il campo dell’informazione sarà come un cimitero: lapidi tutte uguali, con scritto ‘madre esemplare’, ‘padre onestissimo’. E allora ci si chiederà: ma i figli di una mignotta dove li hanno seppelliti? Perché questo diventerà il mondo dell’informazione”.

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