Dietro le tensioni tra Parigi e Roma anche il macigno dei debiti pubblici: la vera partita è attrarre investitori
Le recenti dichiarazioni del premier francese François Bayrou sul “dumping fiscale” italiano svelano una doppia paura. Da un lato la quasi certa sfiducia che incombe nel voto parlamentare sul quarantaseiesimo governo della Quinta Repubblica francese, in carica dal 13 dicembre 2024, sotto la presidenza di Emmanuel Macron. Dall’altro, più sottile e nascosta ma ben più concreta, la competizione crescente tra i Paesi dell’Eurozona per finanziare il loro debito pubblico. Un peso crescente che riflette non solo le crescenti difficoltà, tanto attuali quanto previste, per l’andamento delle diverse economie nazionali e le nubi nere causate dall’impatto dei dazi Usa, ma che deve confrontarsi anche con l‘aumento della spesa militare e l’affievolirsi del gettito fiscale.
Se lo scoglio del rifinanziamento dei debiti pubblici nazionali nel 2025 è ormai per gran parte alle spalle, non così è da qui alla fine del 2026. Tanto che le Borse mondiali cominciano a tremare per una possibile crisi del debito sovrano: anche gli Stati Uniti, un tempo “porto sicuro” per eccellenza, oscillano sotto il peso di interessi che ormai toccano il 5% sui loro titoli decennali. Va da sé che nell’Eurozona, a parte la Germania, l’Italia e il nuovo “grande malato”, la Francia, sono ai ferri corti per attrarre investitori.
Secondo l’ultima analisi sul debito pubblico dell’Eurozona pubblicata da Intesa Sanpaolo il primo agosto, in base ai programmi di emissione pubblicati e alle previsioni dei suoi analisti, nell’eurozona l’offerta netta di titoli governativi (data dalla differenza tra il valore dei titoli in scadenza, da rifinanziare, più il valore del deficit da coprire con nuove emissioni) scenderà da 404 miliardi realizzati tra gennaio e luglio a 123 miliardi tra agosto a dicembre. Il tutto a fronte però di un’offerta lorda, collocata nei primi sette mesi dell’anno, di 936 miliardi, in aumento di circa 30 miliardi euro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sulla base dei programmi di emissione pubblicati, l’offerta lorda da agosto a dicembre è attesa pari a 426 miliardi di euro in tutta la zona dell’euro.
Ma le tensioni si accumulano invece sul prossimo anno: in Germania l’offerta netta dovrebbe aumentare a 120-130 miliardi, dato il nuovo obiettivo di indebitamento del governo federale pari a 89 miliardi e il finanziamento in titoli dei fondi speciali. In Francia, sulla base dell’obiettivo annunciato dal governo Bayrou, il deficit 2026 dovrebbe essere pari a 140 miliardi e le emissioni lorde di titoli pubblici pari a circa 350 miliardi, importo vicino a quello stimato per quest’anno. In Italia, l’emissione lorda di obbligazioni sovrane quest’anno ammonterà a circa 348 miliardi, con un’emissione netta vicina ai 109 miliardi di euro. Ma il prossimo anno l’obiettivo di fabbisogno approvato nel Def è indicato al 5,3% del Pil, pari a circa 124 miliardi da coprire con nuove emissioni. Date scadenze di titoli per 284 miliardi, le emissioni lorde di Roma l’anno prossimo dovrebbero collocarsi intorno a 380-390 miliardi, un cinquantina in più dei 348 attesi nel 2025. Se, come previsto, nel 2026 l’Italia incasserà le tranche finali di prestiti del Pnrr pari a 25 miliardi, le emissioni nette scenderanno al di sotto di 100 miliardi di euro. Solo la Spagna vede le emissioni nette del 2026 calare a 50 miliardi da 62 miliardi quest’anno.
Lo scontro dunque è sulle fonti di finanziamento: l’obiettivo della competizione tra Paesi è riuscire ad attrarre capitali per coprire il proprio debito in scadenza da rifinanziare e il nuovo deficit da pagare, ma senza dover alzare troppo i rendimenti, cioè gli interessi da riconoscere agli investitori. Un’equazione la cui soluzione è tutt’altro che facile già in tempi normali, ma che diventa ancora più ardua a causa delle tensioni internazionali che impattano sui mercati finanziaria.
Così, sempre secondo Intesa Sanpaolo, in Francia le emissioni lorde realizzate tra gennaio e luglio hanno raggiunto la cifra record di 232 miliardi, corrispondenti in termini netti a 121 miliardi. Su questo fronte, nei giorni scorsi il governo Bayrou ha annunciato il nuovo piano di bilancio 2026 che include un obiettivo di riduzione del deficit pubblico dal 5,4% atteso quest’anno al 4,6% nel 2026, mantenendo la spesa pubblica invariata, escluso però l’aumento delle spese militari e degli interessi sul debito. L’obiettivo è ottenere in tempi rapidi un saldo primario in grado di stabilizzare il debito nel 2027 per consentire a Parigi di uscire dalla procedura europea per debiti eccessivi entro la fine del 2029. In sostanza, servono tagli al welfare, che il Fondo monetario internazionale ribattezza eufemisticamente “riforme strutturali, mirate a ridurre le spese correnti non essenziali”. Ma proprio il percorso di riduzione del deficit nel lungo termine, velocizzato da Bayrou, rischia di costargli la sfiducia parlamentare
Così nel 2026, secondo il governo di Parigi, il deficit dovrebbe essere pari a 140 miliardi, ma i titoli in scadenza aumenteranno di circa 20 miliardi rispetto al 2025 a 197 miliardi: le emissioni lorde di debito pubblico francese potrebbero ammontare a circa 350 miliardi, importo vicino a quello stimato per quest’anno. Valori simili a quelli dell’Italia che l’anno prossimo dovrebbe collocarsi BTp per 380-390 miliardi rispetto ai 348 del 2025. Il tutto a fronte di riscatti pesanti: 238 miliardi di debito pubblico italiano da rifinanziare sono previsti per l’intero 2025, 284 miliardi nel 2026.
Le parole di Bayrou, insomma, sono un chiaro indicatore delle tensioni latenti nell’eurozona. Chissà come si traduce “mors tua, vita mea” nelle ovattate stanze dei ministri delle Finanze, dei banchieri e dei finanziari d’Europa.