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Mettere insieme natura e storia: viaggiare nei luoghi della mafia come risposta all’overtourism

Anche se si fa fatica a connettere le due realtà, beni confiscati e turismo sono due cose sempre più legate. Lo racconta Camilla Elisabetta Ghioni nel libro "Il bene ritrovato. Turismo responsabile e beni confiscati alla criminalità organizzata"
Mettere insieme natura e storia: viaggiare nei luoghi della mafia come risposta all’overtourism
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Fare una degustazione di vini nell’Alto Belice Corleone, presso una cantina confiscata a Cosa nostra. Oppure pernottare a Casal di Principe, in strutture sottratte alla mafia. Sono due esperienze di turismo responsabile che scaturiscono dalla confisca di beni mafiosi. Anche se si fa fatica a connettere queste due realtà, infatti, beni confiscati alla criminalità organizzata e turismo sono due cose sempre più legate, come racconta il libro Il bene ritrovato. Turismo responsabile e beni confiscati alla criminalità organizzata, di Camilla Elisabetta Ghioni (Altreconomia). E d’altronde i numeri sono ingenti: parliamo di 874 beni confiscati in Piemonte, 1194 in Lombardia, 166 in Veneto, 227 in Liguria, 643 in Emilia-Romagna, 315 in Toscana, 2.274 nel Lazio, 2.416 in Campania, 1004 in Puglia, 1.716 in Calabria, 7.809 in Sicilia, per un totale in Italia di 19.437. Sono, spiega Ghioni, “appartamenti, ma anche cascine, ville, masserie”. Associazioni come Libera Terra, Addiopizzo Travel, Palma Nana e GOEL fanno proprio questo: sono tour operator che organizzano viaggi dedicati a sensibilizzare i turisti proprio riguardo alla criminalità mafiosa. Criminalità che sempre di più, tra l’altro, cerca di infiltrarsi nel settore turistico.

Ridurre il tempo tra la confisca del bene e il suo riutilizzo

La legge che norma la confisca dei beni è la legge Rognoni-La Torre del 1982. Nonostante la normativa si sia evoluta, “una difficoltà è rimasta costante: la gestione post confisca”, nota l’autrice. Nel 1989 è stata introdotta la figura dell’amministratore giudiziario del bene nominato dal Tribunale che custodisce e amministra il bene. Con la legge 109 del 1996 viene sancito il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati o sequestrati alle associazioni criminali. Nel 2007 viene istituita l’Agenzia nazionale per la gestione e l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati (Anbsc). Ancora: nel 2011 il governo approva il Codice antimafia, con cui si migliora l’efficienza delle procedure di gestione e assegnazione dei beni confiscati, mentre nel 2017 il Codice viene riformato per agevolare il processo di confisca dei beni.

Infine, con il Decreto Sicurezza del 2018 si dà la possibilità a tutti i cittadini di partecipare all’assegnazione del bene per gestirlo. “Il problema principale”, spiega Ghioni, “resta il tempo che intercorre tra la confisca del bene e il suo effettivo utilizzo. La finestra temporale di otto o dieci anni tra il sequestro e il riutilizzo deve essere colmata”. Intanto, per i cittadini e gli enti locali interessati, l’Anbsc ha creato un database online in cui si inseriscono tutte le informazioni riguardanti i beni confiscati.

Turismo nei luoghi di mafia, no a derive voyeristiche

Le attività che cooperative, tour operator e associazioni propongono sono varie. Non solo mangiare e dormire in strutture confiscate ai mafiosi, ma anche dormire in alberghi e mangiare in ristoranti che non pagano il pizzo, o partecipare a escursioni o vacanze nei luoghi che sono stati in passato teatro di attività mafiose. L’agenzia di viaggio più nota nel mondo della Legalità è “Libera – Il g(i)usto di viaggiare”, uno dei tanti rami di Libera Terra, che offre diverse possibilità rispondendo così a bisogni variegati: consente la possibilità di organizzare soggiorni brevi (per singole persone) o viaggi di gruppo con destinazione Palermo e Alto Belice Corleonese, ma soprattutto offre l’opportunità di intraprendere viaggi, anche d’istruzione, presso luoghi teatro di mafia. Non si tratta in nessun modo di “turismo dark”, ma di turismo responsabile, “che riflette su ciò che è accaduto, rispetta e onora le vittime ma anche la comunità che vive nel territorio” spiega l’autrice. Le derive voyeristiche ci sono, nota Maurizio Davolio, Presidente dell’Associazione italiana turismo responsabile, ma vanno arginate. “Arrivano i turisti che si fanno fotografare vicino al cartello stradale di Corleone, gli mettono in testa una coppola e in mano una finta lupara: è un deriva molto negativa, farsesca, che noi assolutamente non condividiamo, per noi contano l’incontro, la testimonianza, lo storytelling di una vicenda, la narrazione di una storia di impegno civile”.

Gustare un’arancina, commuoversi per Capaci

L’altro modo di fare turismo responsabile legato ai luoghi di mafia è “fare viaggi nei quali viene raccontata la lotta antimafia, facendo tappa nei luoghi simbolo di questo percorso di liberazione”, spiegano da Addiopizzo Travel, tour operator in forma di cooperativa sociale. “Tutti i fornitori a cui ci appoggiamo non pagano il pizzo, siano essi ristoratori, proprietari di alberghi o aziende agricole”. Creando iniziative e pacchetti turistici rivolti ai turisti – anche stranieri, sono sempre più interessati – in qualche modo si offre ai visitatori la possibilità di sostenere le aziende che dicono no alla mafia, sostenendo un circuito di economia pulita. “Da un lato quindi sostegno a chi non paga il pizzo; dall’altro la voglia di dare una narrazione una rappresentazione veritiera della Sicilia, scegliendo con cura cosa mostrare e chi far incontrare: le bellezze architettoniche e archeologiche, culinarie e naturalistiche, la bellezza della gente comune. Gustare un’arancina, restare incantati dai mosaici del Duomo di Monreale o commuoversi davanti al luogo della strage di Capaci del 23 maggio hanno significati diversi, ma nella trasmissione e condivisione di emozioni hanno lo stesso ruolo. I turisti vogliono sapere cos’è davvero la mafia, cosa ha fatto, come i siciliani hanno subito la sua violenza”.

Cancellare i preconcetti sulla Sicilia

Anche “I Viaggi del Goel” sono dedicati ai beni e territori confiscati dalla mafia. I pacchetti turistici sono costruiti o su strutture ricettive di chi si è opposto alla mafia o a partire da beni confiscati. “La nostra immagine di turismo consapevole è quella di persone davanti a una bibita di bergamotto fresca che parlino con persone che danno una testimonianza che incide anche nei loro sentimenti”, spiegano.

Libera Terra Mediterraneo e Palma Nana sono cooperative che si muovono similmente. “Organizziamo un percorso storico, evolutivo e di riflessione, perché il viaggiatore faccia una esperienza che lo inviti alla riflessione. Le storie dell’oggi sono a volte legate a piccolissime realtà che raccontano storie di grande cambiamento, è il caso del percorso sulle orme di padre Pino Puglisi. Il tema del sangue, delle stragi, preferiamo metterlo da parte e parlare invece di quello che c’è oggi. Quello che noi facciamo è rivolto a cancellare i preconcetti e l’immagine costruita della Sicilia attraverso i film”, spiegano da Addio Pizzo.

Un turismo, dunque, quello legato ai beni confiscati, che da un lato rappresenta una risposta all’overtourism e dall’altro, conclude l’autrice, “esprime bene il concetto di sostenibilità, che non è solo ambientale, ma anche sociale ed economica. Non solo si cerca di rendere le risorse accessibili a tutti, ma si crea un’economia che possa durare e abbia ricadute positive sia sui luoghi che sulle generazioni future”.

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