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La protesta di 500 donne israeliane: in marcia al confine con Gaza contro la continuazione della guerra

Una nuova coalizione, Mothers on the Front, promuove la fine della guerra a Gaza e il ritorno degli ostaggi. Il gruppo ha intenzione di accamparsi nei pressi del kibbutz Sàad, nel sud di Israele
La protesta di 500 donne israeliane: in marcia al confine con Gaza contro la continuazione della guerra
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Dopo l’annuncio di Benjamin Netanyahu del piano per l’allargamento delle operazioni militari nella Striscia di Gaza, circa 500 donne israeliane hanno lanciato domenica 10 agosto una nuova coalizione: Mothers on the Front. L’obiettivo dell’organizzazione è promuovere la fine della guerra a Gaza e il ritorno dei 50 ostaggi tenuti prigionieri dai gruppi terroristici, 20 dei quali si ritiene siano ancora vivi. A riportarlo è il Times of Israel.

Il lancio della coalizione è iniziato con una marcia nei pressi del confine di Gaza verso un sito commemorativo delle soldatesse uccise nel kibbutz Nahal Oz il 7 ottobre 2023, quando Hamas attaccò la loro base militare. Il gruppo di donne ha intenzione di accamparsi per protestare, per almeno cinque giorni, nei pressi del kibbutz Sàad, nel sud di Israele. Non è la prima volta che viene presa un iniziativa del genere. La coalizione prende infatti inspirazione dal movimento delle Quattro Madri, lanciato nel 1997 per chiedere il ritiro delle Idf dal Libano meridionale. Secondo il quotidiano israeliano, il movimento fu determinante nel ritiro avvenuto nel maggio 2000.

La decisione del governo israeliano di prendere il controllo dell’area densamente popolata di Gaza City, dove si ritiene si trovino gli ostaggi ancora in vita, non è stata accolta favorevolmente da parte di un pezzo della popolazione, ma anche i vertici delle Forze di difesa israeliane hanno espresso forti preoccupazioni. L’Idf, infatti, ha avvertito che un’operazione del genere metterebbe a rischio sia la vita degli ostaggi rimasti, sia dei soldati israeliani e peggiorerebbe la situazione umanitaria per i civili di Gaza, già gravissima. Anche molte persone favorevoli a una risposta militare dopo il 7 ottobre, non trovano più una giustificazione alle operazioni israeliane, dopo due anni di guerra e distruzione.

“Il 7 ottobre Israele è entrato nella guerra più giusta che ci sia mai stata. Il nostro esercito ha combattuto coraggiosamente. Ha ottenuto grandi successi militari. Ma sono passati quasi due anni e questi successi non si sono tradotti in alcuna realtà diplomatica. Invece di usare questo potere militare per raggiungere un accordo che restituisca i rapiti e ponga fine alla guerra, questo governo insiste nel continuare una guerra politica. Scelgono l’ideologia della guerra eterna e la morte dei soldati piuttosto che vite umane”, ha detto un manifestante al Times of Israel. La stessa accusa era arrivata la settimana scorsa da oltre 600 funzionari della sicurezza israeliani in pensione, tra cui ex capi del Mossad e dello Shin Bet, che hanno scritto una lettera a Donald Trump per chiedergli di fare pressione sul primo ministro israeliano. “Questa guerra non è più una guerra giusta e sta portando lo Stato di Israele a perdere la sua identità”, aveva avvertito Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet. Nel frattempo a Gaza le persone continuano a patire la fame e a essere bombardate dalle forze armate israeliane, che prendono di mira anche i giornalisti che raccontano il genocidio.

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