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“Dopo il rientro dal tumore, con Spalletti feci fatica. Mi fece vedere una foto del Frosinone e mi disse: ‘Questo è il tuo livello'”: il racconto di Castán

L'ex difensore brasiliano della Roma studia per diventare allenatore. Racconta la battaglia contro la malattia, scoperta da un articolo su Twitter, e il rapporto difficile con l'ex tecnico
“Dopo il rientro dal tumore, con Spalletti feci fatica. Mi fece vedere una foto del Frosinone e mi disse: ‘Questo è il tuo livello'”: il racconto di Castán
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“Un giorno ho guardato il telefono. Un articolo su Twitter: “Castán ha un tumore, potrebbe morire”. La paura mi ha travolto. Non sapevo ancora cosa avessi. Nessuno mi aveva detto niente”. Ci sono dei momenti nella vita di una persona in cui cadere è semplice, immediato. Rialzarsi meno. E non importa che tu sia un calciatore di Serie A, alto 185 cm per oltre ottanta chili. Lo sa bene Leandro Castán, ex difensore brasiliano della Roma che ha scoperto un tumore al cervello proprio quando era all’apice della carriera. “Volevo vincere il campionato con la Roma e conquistare la Nazionale. In poco tempo mi sono ritrovato su un letto d’ospedale con un tumore in testa“, ha raccontato nel corso di una lunga intervista al Corriere della sera.

Tutto inizia il 13 settembre 2014: Empoli-Roma, Castán viene sostituito all’intervallo. “Durante il riscaldamento ho sentito un fastidio al flessore. Al termine del primo tempo Maicon ha avvisato Rudi Garcia”, l’allenatore: “Castán non sta bene“. “Sono stato sostituito. Sono uscito dal campo, per sempre. Tornato a casa, ho iniziato a non stare bene. La mattina successiva la situazione è peggiorata, mi girava la testa. Ho pensato di morire”.

“Non mi reggevo in piedi, vomitavo e avevo perso venti chili”

Da lì è iniziato un lunghissimo calvario. Castán va subito in ospedale. “Dopo una risonanza magnetica mi hanno mandato a casa. Il dottore del club era preoccupato, ma non mi diceva cosa avessi. Non mi reggevo in piedi, vomitavo molto, avevo perso venti chili”. Poi la scoperta su Twitter, la paura e quel senso di smarrimento preoccupante. “Dopo settimane mi hanno comunicato che avevo un cavernoma cerebrale. Avrei dovuto dire addio al calcio. Nella mia testa è sceso il buio. Ero confuso”. A quel punto Leandro non ha scelta: o si opera o deve lasciare il calcio. E operarsi vuol dire affrontare un intervento molto pericoloso. “Vidi una partita della Roma e mi scattò qualcosa. Decisi di operarmi. Il giorno prima dell’operazione andai a Trigoria ad allenarmi. Mi diedero del pazzo ma ne avevo bisogno”. Dopo l’intervento il pianto liberatorio: era andato bene. Ma da lì non è tutto semplice, anzi. Castán quasi non accetta di non essere quello di prima.

“Provavo rabbia e frustrazione, ero sempre nervoso. Mi trattavano tutti come fossi ancora malato, nel primo allenamento non avevo il controllo del mio corpo. Rimasi immobile”. Da lì una nuova rinascita, con diversi allenatori che intanto si sono susseguiti sulla panchina della Roma: “Garcia fu un secondo padre, con Spalletti feci più fatica. Giocai contro il Verona la peggior partita della mia vita. Mi chiamò in ufficio e mi disse: “Con me non giochi più, il tuo livello è questo”, facendomi vedere una foto del Frosinone. Mi crollò tutto”.

Una nuova vita nel calcio: “Studio per diventare allenatore”

Adesso Castán studia in Brasile per diventare allenatore. Il richiamo del calcio è sempre rimasto forte: “Mi piace stare in campo, sentire l’odore dell’erba, entrare in contatto con i ragazzi. Non è ancora finito il mio momento. C’è un’altra vita nel calcio per Leandro Castán. Ho provato a stare lontano dal pallone, ma non ce l’ho fatta”. Sentirsi vivo per provare a mettere un punto sul passato: “Non ci sono mai riuscito definitivamente. Ma tra qualche mese tornerò a Roma, ci porterò i miei figli e gli dirò lì chi è stato papà. Un bambino di Jaù che ce l’ha fatta e ha vinto la sfida più grande della sua vita”.

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