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Boss al 41 bis, la Cassazione riconosce il diritto all’affettività

Il bilanciamento tra "le esigenze di affettività del soggetto ristretto e quelle di sicurezza pubblica" hanno dato ragione alla richiesta del detenuto condannato a tre ergastoli
Boss al 41 bis, la Cassazione riconosce il diritto all’affettività
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L’affettività è un diritto anche per le persone in regime di 41 bis. Lo ha deciso la Cassazione in merito alla vicenda di Davide Emmanuello, boss di Cosa Nostra detenuto al carcere duro dal 1993 e condannato a tre ergastoli, e Clare Holme, una 55enne anglo-italiana di Modena. I due sono legati da una relazione sentimentale. Una storia iniziata nel 2008 e proseguita per via epistolare fino ad oggi, quando è stato riconosciuto all’uomo il diritto di un colloquio visivo con la donna.

Inizialmente Emmanuello aveva fatto richiesta al direttore del carcere di Sassari, dove è detenuto, e davanti al diniego si era rivolto al Tribunale di sorveglianza. Questa volta il parere era stato positivo, ma contro questo era ricorso in Cassazione il ministero della Giustizia. Ora la Suprema Corte ha deciso che il detenuto deve vedersi riconosciuta la richiesta. La decisione è maturata operando un “giudizio di bilanciamento, in concreto, tra le esigenze di affettività del soggetto ristretto e quelle di sicurezza pubblica”, bilanciamento che ha tenuto conto del legame tra i due e della “estraneità della donna a contesti di criminalità organizzata”.

In oltre trent’anni di 41 bis Emmanuello aveva già fatto discutere del suo comportamento da detenuto, prima quando si vide vietare la lettura romanzo di Umberto Eco, ‘Il nome della rosa”, ritenuto “pericoloso” per via della copertina rigida, e poi per una lettera del 2015 in cui sosteneva la sua innocenza citando Aristotele: “Tra la verità e l’errore c’è uno spazio intermedio dominato dal verosimile, dall’incerto, dall’opinabile”.

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