“Sono tornata in Italia otto anni fa per insegnare e sono pentita. Sono ancora precaria, non so cosa posso offrire ai miei figli”
“Tutte le mattine mi domando chi me l’ha fatto fare di tornare in Italia, è una questione di trattamento e di dignità. Io mi sono formata al massimo, sono tornata qui e sono stata messa in condizioni di svantaggio. Ho un sentimento di profonda delusione. Noi stiamo formando la generazione del futuro, ma da questo lavoro ormai in tanti scappano. È un problema che investe un’intera classe lavorativa che diventa però, a cascata, anche un problema sociale”. Silvia ha 39 anni e tre figli di 9, 6 e 4 anni. È veneta, insegna italiano a Modena ed è rientrata in Italia da superqualificata per lavorare nel mondo della scuola: dopo 5 anni in Francia, dove ha conseguito un dottorato in Linguistica, nel 2017 è rientrata insieme al marito e al primo figlio. Ha nel curriculum anche una laurea magistrale e un master in didattica dell’italiano per insegnare l’italiano agli stranieri. Da otto anni riceve solo incarichi precari. “Abbiamo deciso di rientrare, perché volevamo stare nel nostro Paese e ci piaceva l’idea di poter restituire l’investimento fatto su di noi dalla scuola pubblica italiana”. Ma quell’idea di restituzione, spiega al dorso bolognese del Corriere della Sera, al momento resta una strada tutta in salita, fatta di precarietà, stipendi bassi, disoccupazione e sorpassi da parte di chi il titolo per insegnare se lo è “comprato” all’estero. Ha sempre avuto supplenze annuali e per questo si considera tra i fortunati, ma quest’anno non è andata così e il suo contratto è finito il 7 giugno, “il che significa un altro pezzo di stipendio in meno e niente 500 euro di card del docente che aiuterebbero molto ad aggiornarsi e acquistare materiale. Ogni anno spendo mille euro circa di tasca mia tra corsi di aggiornamento, cancelleria, libri. E l’estate non è certo una passeggiata”.
Cosa sia successo, Silvia lo spiega molto chiaramente: “Il Miur ha aperto le graduatorie e nella prima fascia sono entrate tutte le persone che avevano titoli abilitanti sul sostegno “comprati” all’estero, in Spagna o in Romania, Paesi le cui università vendono i titoli, è un fatto conclamato, lo sanno tutti. Chi ha questi titoli può fare i corsi abilitanti su materia online, tutti gli altri, come me, devono fare il corso in presenza a proprie spese. Morale: tutti i precari storici sono rimasti tagliati fuori dalla prima fascia e hanno avuto supplenze più corte rispetto agli altri anni o più lontane. Il mio contratto quest’anno è stato cambiato unilateralmente in corsa e ho dovuto staccare il 7 giugno, il che significa un altro pezzo di stipendio in meno e niente 500 euro di card del docente che aiuterebbero molto ad aggiornarsi e acquistare materiale. Ogni anno spendo mille euro circa di tasca mia tra corsi di aggiornamento, cancelleria, libri. E l’estate non è certo una passeggiata”.
I mesi estivi infatti sono complessi. Nonostante questo, Silvia non rinuncia alla sua formazione: “Studio e mi formo a spese mie, sto approfondendo la pedagogia della lettura per aiutare i miei studenti a stare meglio. Lo faccio perché ci credo molto in questo lavoro. L’anno scorso ho pagato di tasca mia 2mila euro per avere un titolo obbligatorio abilitante: per frequentarlo in presenza e studiare ho speso altri 3mila euro per centri estivi e baby sitter per i miei tre figli. Ho studiato molto, ho fatto i figli e adesso mi chiedo cosa posso offrire loro. Facciamo vacanze low cost, prendo vestiti usati, ma poi? Non basta”. Di certo sin da quando è tornata, con un curriculum invidiabile, non si è mai risparmiata: “Quando sono rientrata in Italia ho lavorato in un altro ambito, poi, con un figlio piccolo, ho iniziato a studiare di notte per prendere i 24 crediti formativi che mi servivano per insegnare. Poi è arrivato il secondo figlio, poi il Covid. Il primo contratto è stato nel 2020,una supplenza annuale a Modena. Ho sempre avuto supplenze annuali grazie ai miei titoli e sono già tra i fortunati. Ma è davvero dura”. E ora, con suo marito, si domanda se la scelta di rientrare e investire in Italia per il futuro dei suoi figli abbia o meno un senso. E una sostenibilità economica per il futuro.