Botta e risposta a Coffee Break (La7) tra il giornalista e scrittore americano di origini egiziane Omar El Akkad e il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera.
El Akkad è autore del libro «Un giorno tutti diranno di essere stati contro» (Feltrinelli), in cui denuncia il tradimento dei presunti valori occidentali di fronte alla tragedia di Gaza. Nato in Egitto, cresciuto in Qatar, cittadino canadese e residente negli Stati Uniti, è noto per le sue inchieste internazionali, dai processi di Guantanamo alle proteste di Black Lives Matter, fino alla guerra in Afghanistan.
Al giornalista dell’Unità Umberto De Giovannangeli che gli chiede se a Gaza si possa parlare di genocidio, la risposta di El Akkad è netta: “Secondo me sì, la parola ‘genocidio’ è valida. C’è veramente tanta riluttanza a utilizzare quella parola, perché dalla sua genesi deriva anche un obbligo (sancito dalla Convenzione Onu del 1948 sul genocidio, ndr): un genocidio o un tentativo di genocidio comporta la necessità di bloccare questa iniziativa. Questa è la ragione per cui c’è un’avversione storica per questa parola.”
E aggiunge: “Ma facciamo finta che questa parola non vada bene per Gaza. Vuol dire che va bene bombardare ospedali e che si possono uccidere migliaia di civili? E dire ad alta voce che si possono uccidere delle persone? Beh, allora vuol dire che abbiamo alzato l’asticella. Se questo non è valido per Gaza, allora abbiamo un’idea diversa di umanità. Mi piacerebbe pensare, invece, che viviamo in un mondo in cui la vita è valida per tutti e che noi meritiamo un’esistenza migliore”.
Interviene Mollicone il quale, dopo aver magnificato le iniziative umanitarie del governo Meloni per Gaza, attacca lo scrittore propugnando un’argomentazione ricorrente tra i sostenitori di Israele.
“Non sono d’accordo assolutamente sul termine genocidio – tuona il meloniano – anche perché, come sa perfettamente lo scrittore, in Israele sono residenti 2 milioni di arabi che non si considerano palestinesi ma israeliani. Se fosse un genocidio, allora, con questa logica andrebbero a caccia anche degli arabi israeliani che hanno scelto di vivere in Israele. Le parole hanno un peso: il termine ‘genocidio’ non può essere utilizzato, perché in Israele vivono 2 milioni di arabi che non sono palestinesi”.
Un’argomentazione smentita da diverse organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e l’israeliana B’Tselem, che documentano come gli arabo-palestinesi con cittadinanza israeliana siano soggetti a discriminazioni strutturali in ambito giuridico, urbanistico e politico. La loro esistenza, pur significativa, non annulla né le violazioni interne né la devastazione in corso a Gaza.
“Non sto cercando di convincere nessuno rispetto alla mia posizione – replica El Akkad – ho già sentito questa argomentazione, cioè la ragione per la quale non si può utilizzare la parola genocidio. Questa argomentazione andrà avanti fin quando non sarà ucciso l’ultimo palestinese“.