Terapia genica 2.0: una nuova via “in vivo” per correggere le malattie genetiche alla nascita

La terapia genica ha rivoluzionato il trattamento di malattie genetiche prima incurabili. Tuttavia, per quanto efficace contro alcune patologie molto gravi, resta una strategia terapeutica complessa, rischiosa e costosa. Ora, però, un gruppo di scienziati dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano ha ideato un approccio nuovo, per ora testato solo sui topi, che apre la strada a una sorta di “terapia genica 2.0”. La nuova metodologia, che può essere potenzialmente applicata alla nascita e che non richiede la necessità di un trapianto di cellule staminali o chemioterapia come nella terapia genica tradizionale, è stata descritta sulla rivista Nature.
“La terapia genica ha già portato a importanti successi clinici quando applicata ex vivo, cioè quando le cellule staminali dei pazienti vengono geneticamente modificate in laboratorio e reinfuse tramite trapianto, dopo aver sottoposto i pazienti a chemioterapia”, spiega Michela Milani, prima autrice dello studio. Un esempio è la terapia genica per la leucodistrofia metacromatica (MLD), sviluppata presso l’SR-Tiget e approvata sia in Europa che negli Stati Uniti. Tuttavia, sebbene efficace, questa procedura è invasiva e costosa. Da qui la necessità di trovare soluzioni più semplici, meno rischiose e più sostenibili, come la terapia genica “in vivo”.
“Nel nostro studio abbiamo identificato una finestra temporale unica, subito dopo la nascita, in cui le cellule staminali del sangue circolanti possono essere efficacemente colpite dalla terapia genica direttamente nell’organismo”, sottolinea Milani. L’approccio è dunque diverso dal tradizionale: i vettori lentivirali vengono direttamente iniettati nel flusso sanguigno, quindi in vivo, con una semplice flebo anziché un complicato e rischioso trapianto. I ricercatori hanno infatti scoperto che nei topi neonati, e fino alle prime 2 settimane di vita, il numero di cellule staminali e progenitrici ematopoietiche in circolazione è significativamente più alto rispetto agli animali più anziani. Questa finestra postnatale consente il trasferimento genico tramite iniezione sistemica, portando all’attecchimento a lungo termine e alla produzione di cellule del sangue multilineari. “Dopo la nascita, le cellule staminali del sangue devono spostarsi dal fegato, dove hanno vissuto durante gli ultimi mesi di gravidanza, alla loro dimora definitiva nel midollo osseo, spiega Milani. “Abbiamo scoperto che, durante questo percorso circolatorio, possono essere più facilmente accessibili tramite vettori somministrati per via endovenosa e quindi essere geneticamente modificate senza la necessità di raccoglierle e processarle al di fuori del corpo”, aggiunge. “A queste età precoci – continua Luigi Naldini (nella foto), direttore dell’SR-Tiget, che ha supervisionato lo studio – non solo ci sono più cellule staminali in circolo, ma sono anche più permissive al trasferimento genico. Ulteriori studi indagheranno le basi biologiche di questa maggiore permissività e come potremmo replicarla in età più avanzata”.
I ricercatori hanno testato l’approccio su modelli murini di tre malattie genetiche: l’ADA-SCID , una forma di immunodeficienza grave dovuta alla mancanza di linfociti funzionali; l’osteopetrosi autosomica recessiva, una malattia ossea dovuta a un’alterazione delle cellule di rimodellamento osseo trasmesse dal sangue; e l’anemia di Fanconi, una sindrome da insufficienza midollare causata da un difetto nella riparazione del DNA che colpisce in particolare le cellule staminali. In tutti e tre i modelli, il trasferimento genico “in vivo” ha portato a significativi benefici terapeutici, prolungando la vita dei topi. In particolare, nell’anemia di Fanconi, le cellule staminali corrette hanno progressivamente ripopolato il sistema sanguigno e prevenuto l’insufficienza del midollo osseo, rispecchiando il vantaggio in termini di sopravvivenza e crescita rispetto alle cellule difettose osservato negli studi di terapia genica umana.
Per aumentare ulteriormente il numero di cellule staminali circolanti e ampliare la finestra di trattamento, il team ha utilizzato “farmaci mobilizzatori clinicamente approvati” (G-CSF e Plerixafor) per forzare le cellule staminali a uscire dalle loro nicchie tissutali, ottenendo una maggiore efficienza di trasferimento genico ed estendendo la finestra terapeutica/interventistica ai topi più anziani. Hanno inoltre ottimizzato i vettori lentivirali per migliorarne la stabilità e l’assorbimento. “Anche se lo studio è stato condotto sui topi, abbiamo rilevato cellule staminali ematopoietiche circolanti anche nel sangue di neonati umani e durante i primi mesi di vita”, dice Milani. “Questi dati supportano l’ipotesi che questa finestra di opportunità possa esistere anche negli esseri umani”, aggiunge. Tuttavia, l’efficacia è ancora limitata rispetto alla terapia genica ex vivo. “L’efficacia di correzione delle cellule è del 15% rispetto al 100% della terapia genica ex vivo”, specifica Milani. “Il nostro prossimo obiettivo e quindi quello di migliorare le efficienze tramite l’utilizzo di farmaci e di nuovi vettori reingegnerizzati”, conclude.
Valentina Arcovio