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Genova, Bucci apre a Salis col veto sulla decrescita felice. Ma così l’economia resta obesa

Chi vende energia vuole che, ogni anno, se ne venda di più: l'obiettivo è il consumo. Lo stesso vale per chi vende cibo. Il risultato è un'economia obesa
Genova, Bucci apre a Salis col veto sulla decrescita felice. Ma così l’economia resta obesa
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Commentando la batosta elettorale della destra nella mia Genova, l’ex sindaco Bucci, ora al posto di Toti al vertice regionale, si dice pronto a collaborare con Silvia Salis a patto che non proponga la decrescita felice, dimostrandosi vittima (mi riferisco a Bucci) di pregiudizi ideologici non da poco. Eppure avrebbe dovuto capire che i governi di sinistra non dicono no a tutto e, anche, che realizzano. Il compito di ricostruire il Ponte di Genova gli fu affidato da un ministro dei Trasporti del Movimento 5 Stelle. Mentre con Toti la giunta regionale ha perseguito una crescita infelice.

Bucci, comunque, non è il solo a chiedere la crescita: la chiedono tutti. Ovviamente parlano della crescita economica (il Pil). Se cresce va bene, se smette di crescere è stagnazione, se diminuisce è recessione. Per non parlare della stagflazione: stagnazione (o recessione) e inflazione.
La decrescita viene invocata come spauracchio nei periodi di recessione: vedete?, è questo che si propongono le anime belle che predicano la decrescita felice. La disonestà intellettuale è disarmante: tutti i casi di recessione sono il risultato di politiche che miravano alla crescita, visto che non è mai successo che partiti che programmano la decrescita abbiano preso il potere. I responsabili delle crisi economiche ne ascrivono la causa a politiche mai perseguite, facendo finta di non essere proprio loro, e le loro ideologie, ad averle provocate.

La crescita non è uguale a “sviluppo”. Gli organismi si sviluppano ma, giunti a una data dimensione, smettono di crescere. Lo sviluppo, quindi, non implica la crescita continua. I produttori di frigoriferi hanno goduto di una crescita impetuosa immettendoli sul mercato quando i frigoriferi erano una novità ma, una volta che tutti hanno un frigo, la crescita cessa. E questo non è bene. Così si pianifica l’obsolescenza programmata: dopo cinque o sei anni il frigo si rompe, e costa più ripararlo che comprarne uno nuovo! Lo stesso si fa con i cellulari, con le auto e con moltissimo altro. Chi vende energia vuole che, ogni anno, se ne venda di più rispetto all’anno precedente: l’obiettivo è che si consumi sempre più energia. Lo stesso vale per chi vende cibo. Il risultato è un’economia obesa.

Quando la bolla dell’obesità economica scoppia arriva la recessione. Tutti si sorprendono e, passata la crisi, riprendono politiche che mirano alla crescita, perché la loro ideologia non prevede altro. Non capiscono che se qualcosa cresce, questo avviene a spese di qualcos’altro, che decresce. La crescita del capitale economico di solito avviene a spese del capitale naturale, la cui decrescita, infelice, di solito influenza anche l’economia e, di conseguenza, la società. Ci parlano sempre dei costi di una transizione verso la sostenibilità, fingendo di non vedere i costi economici e sociali dell’insostenibilità. Il paese, ci dice il ministro della Protezione Civile, non ha più risorse economiche per far fronte ai costi (economici) del cambiamento climatico, dalle inondazioni alle siccità, e consiglia i cittadini di assicurarsi! Già questo ci dimostra l’insostenibilità economica del modello corrente di politiche economiche che mirano alla crescita: causano danni economicamente insostenibili.

C’è differenza tra la “fame” causata dai disastri frutto di economie obese e la “dieta” a cui queste economie dovrebbero sottoporsi, in modo da perdere di peso senza rinunciare al benessere, anzi, finalmente perseguendolo. Nei paesi “sviluppati”, paradossalmente, i poveri sono obesi, spinti da pubblicità martellanti a consumare cibo spazzatura.

Per mettersi a dieta ci vuole un piano, e ci vogliono persone competenti. Non possiamo chiedere a chi spinge a consumare certi cibi di formulare una dieta che ci metta al riparo dalle conseguenze del consumo di quegli stessi cibi. Eppure è proprio quello che avviene: il ministro della Transizione Ecologica, l’unico nella storia politica del paese, ora dirige una floridissima fabbrica di armi. E dalla transizione ecologica è passato alla transizione militare.

Negli Usa la nuova amministrazione ha messo all’indice il concetto di “cambiamento climatico”. I fautori delle ideologie non si fidano dei fatti, ma si rifanno a preconcetti ideologici e accusano, paradossalmente, di ideologismo chi non abbraccia le ideologie in cui credono. Sono contrarissimo al No a tutto, ma sono anche contrarissimo al Sì a tutto. Il Ponte San Giorgio andava ricostruito! Non è strano che il principale responsabile della gestione politica di quell’opera appartenesse a un partito accusato di dire No a tutto?

Dobbiamo mettere a dieta la nostra economia, per farle perdere il peso superfluo: la sfida richiede un serio programma di riconversione dei paradigmi economici, prima di tutto internalizzando nelle analisi costi-benefici i danni derivanti dall’insostenibilità, per avere un quadro completo delle conseguenze del nostro agire economico. La soluzione non è semplice e richiederà sforzi congiunti di moltissime discipline, sperando che nessuna sia affetta da ideologie precostituite. Stando alle risultanze processuali, inoltre, certe scelte politiche non sono dettate da ideologie, ma da ricompense economiche per un agire contrario all’interesse pubblico, a favore di interessi privati.

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