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Gli astenuti alle elezioni sono ancora troppi: serve un sorteggio parziale

Molti sorridono quando si parla di correttivi basati sul sorteggio. Eppure si tratta di un sistema in perfetta sintonia con il pensiero di Aristotele e Montesquieu e, soprattutto, di Thomas Jefferson
Gli astenuti alle elezioni sono ancora troppi: serve un sorteggio parziale
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Al primo turno delle elezioni comunali di Genova hanno votato 249mila genovesi. Tra comune e municipi, i candidati erano più di 3mila. Un rapporto tra candidati e votanti imbarazzante: più o meno uno su ottanta. Avevano diritto al voto 480mila cittadini genovesi. Quasi la metà si sono astenuti. Chi ha rinunciato a malincuore lo ha fatto per andare al mare, come un milanese o torinese qualunque? A Genova le due attività sono perfettamente compatibili, sempre che per mare non s’intenda quello delle Seychelles.

Perché non sorteggiare un numero di rappresentanti proporzionato all’astensione? Se metà degli elettori votano, metà dell’assemblea — Consiglio Municipale, Comunale o Regionale, Senato o Camera dei Deputati — viene composta dai membri eletti. I membri dell’altra metà sono, invece, sorteggiati da un ampio campione, rappresentativo della società. Più casualità e meno antipolitica non è una ricetta balzana, bensì una opzione fondata su rigorose analisi statistiche e seri studi scientifici.

Quando trionfava la società del benessere e la diseguaglianza si assottigliava ovunque, la partecipazione era consistente. Erano i gloriosi trent’anni*, dal 1946 al 1975, poi seguiti dagli anni delle passioni tristi. Chi non partecipa, non condivide le decisioni di una politica debole e triste, ostaggio della finanza e degli interessi particolari. E, se non sono largamente condivise, quelle decisioni sono fragili. Alle politiche del 1958, andarono a votare 84 italiani su 100. Nel 2022 ne rimasero solo 64, assai più tristi dei propri nonni.

Sindaci genovesi come Pertusio e Cerofolini—allora nominati dal Consiglio Comunale — esprimevano un forte radicamento sociale. Nel 1958 votarono 427mila genovesi, e Pertusio fu riconfermato quale primo sindaco democristiano. Nel 1976, i votanti furono 578mila e Cerofolini divenne il primo sindaco socialista della città. Dal 1993, i sindaci sono eletti direttamente dal popolo. In quell’anno, Sansa vinse il ballottaggio con quasi 250mila voti su 418mila votanti. Era il primo candidato indipendente dai partiti tradizionali.

Nel 2022, solo 105mila genovesi indicarono Bucci come proprio sindaco, supportato da ben nove liste. Si votò solo di domenica. Salis è stata eletta, tra domenica e lunedì, da circa 129mila cittadini. Un po’ meglio, ma sono la metà di quanti votarono Sansa. È un piccolo spiraglio, ancora lontano da una vera inversione di tendenza. Se il voto in due giorni favorisce l’affluenza, il voto per corrispondenza — come avviene negli Stati Uniti — potrebbe favorire la partecipazione in modo rilevante.

Il deficit di partecipazione non è un guaio genovese, a Ravenna è andata peggio. È un malessere diffuso in tutta Europa, salvo particolari eccezioni; il segnale di un profondo scontento che fa riflettere sul nostro modello di società. La democrazia digitale, quella di internet, è una risposta insufficiente e vulnerabile, estremamente manipolabile. La democrazia diretta dei referendum è prigioniera del quesito particolare e del necessario quorum. La democrazia rappresentativa rimane il migliore dei mali necessari, se corretta dal sorteggio.

Molti sorridono quando si parla di introdurre correttivi basati sul sorteggio di chi ci rappresenta, come nell’Atene di Pericle e nella Venezia dei Dogi. Eppure, si tratta di un sistema in perfetta sintonia con il pensiero di Aristotele e Montesquieu e, soprattutto, di Thomas Jefferson, il vero architetto della democrazia americana che aveva proposto il sorteggio non solo per nominare le corti giudiziarie, ma per quasi tutte le cariche istituzionali. Parecchi scienziati della politica hanno dimostrato come una quota di rappresentanti scelti con il sorteggio aumenti l’efficienza e la produttività delle istituzioni**. Una certa dose di casualità aiuta a migliorare l’efficienza dei sistemi complessi, dai formicai al sistema immunitario, dalle nazioni alle città.

* Jean Fourastié, Les Trente Glorieuses ou la révolution invisible de 1946 à 1975, Fauyard: Paris, 1979.
** vedi, p.es., Pluchino, A. et al., L’efficienza del caso, Le Scienze, gennaio 2013; oppure, Zaphir, L , Demarchy: a flexible deliberative process for contemporary democracies, Journal of Political Power, 12:1-25, 2019.

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