Cgil: “Il 62,7% dei lavoratori del privato ha guadagnato meno di 25mila euro lordi nel 2023”

Sono circa 10,9 milioni i lavoratori del settore privato che guadagnano meno di 25mila euro lordi annui, il 62,7% del totale. Il 35,7%, cioè 6,2 milioni di persone, guadagna meno di 15mila euro lordi: 1.000 euro netti al mese nel migliore dei casi. Uno studio dell’ufficio Economia della Cgil nazionale mette in fila i dati relativi al 2023 e analizza le cause della povertà lavorativa che in Italia è sempre più un’emergenza. Dietro ci sono la tipologia contrattuale e il tempo di lavoro: i lavoratori con contratti a termine e part time hanno infatti salari lordi annuali medi rispettivamente di 10mila e 12mila euro. I lavoratori che cumulano le due condizioni vedono ridursi ulteriormente il salario lordo annuo medio a 7mila euro.
Gli altri fattori che determinano i bassi salari sono l’alta incidenza delle qualifiche più basse nel mercato del lavoro italiano e la forte discontinuità lavorativa. Nel 2023 l’Italia ha registrato una quota di dirigenti e delle professioni intellettuali e scientifiche pari al 15,8%, quota marcatamente più bassa rispetto alla media dell’Ue (26,6%). Inoltre, in Italia le professioni non qualificate pesano per il 12,4% (pari ad oltre 2,2 milioni di lavoratori dipendenti). Quanto alla discontinuità, dai dati delle Comunicazioni Obbligatorie emerge che l’83,5% di tutti i rapporti di lavoro cessati hanno avuto una durata inferiore all’anno e il 51% non ha superato i 90 giorni. Ma a incidere negativamente sui salari è anche la bassa retribuzione oraria: stando agli ultimi dati Inps aggiornati all’ottobre 2023, circa 2,8 milioni di lavoratori dipendenti hanno una retribuzione oraria inferiore a 9,5 euro lordi.
La distribuzione per classi di importo della retribuzione annuale mostra come nel 2023 circa 10,9 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato (62,7%) ricada nelle classi
inferiori a 25mila euro lordi annuali. Risultati a cui contribuisce il fatto che l’Italia abbia registrato in quell’anno un tasso di part-time involontario del 54,8%, il più alto dell’Eurozona e il secondo dell’Unione europea, e la forte discontinuità lavorativa: I salari lordi risentono poi dei pesanti ritardi nei rinnovi contrattuali, in particolare con alcune controparti datoriali.
Per Christian Ferrari e Francesca Re David della segreteria confederale della Cgil “precarietà, discontinuità, part time involontario, alta concentrazione di dipendenti nelle più basse qualifiche di inquadramento sono i fattori della tempesta perfetta che colpisce le lavoratrici e i lavoratori italiani, la maggior parte dei quali – anche a causa di un’alta inflazione cumulata e non ancora recuperata – è sempre più povera pur lavorando”.
Secondo i due dirigenti sindacali “per rimediare a una situazione diventata ormai intollerabile, confermata anche dai recenti dati Istat, occorre azionare tutte le leve disponibili: cancellare la precarietà, rinnovare i contratti già scaduti, mettere in campo politiche capaci di invertire il declino industriale che prosegue ininterrottamente da ben 26 mesi, dire basta alla competizione di costo e puntare su una frusta salariale che favorisca una via alta allo sviluppo, approvare una legge sul salario minimo“. Fari puntati, quindi, sui referendum dell’8 e 9 giugno che “puntano a rimettere al centro del modello sociale e di sviluppo italiano un lavoro stabile, ben retribuito, realmente libero e sicuro, che consenta a tutte e tutti di realizzarsi e di concorrere al progresso della nostra società”.