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Remigrazione: così l’estrema destra europea riduce il confine tra sicurezza e repressione

Nel suo significato originale, remigrazione indicava semplicemente un emigrato che sceglie di tornare a casa. Ma da qualche anno, questa parola è diventata una cosa molto diversa
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Oggi vorrei parlarvi di remigrazione. Che non è una parolaccia. O almeno, non lo era. Nel suo significato originale, remigrazione indicava semplicemente un emigrato che sceglie di tornare a casa, nel proprio Paese d’origine. Magari dopo anni trascorsi all’estero, con il desiderio di riabbracciare la famiglia, investire i risparmi, ricominciare da dove tutto era iniziato. Una scelta libera, personale, volontaria. Ma da qualche anno, questa parola ha preso un’altra strada semantica. E oggi, in certi ambienti, “remigrazione” è diventata una cosa molto diversa.

È diventata il cuore di un’ideologia, un’arma retorica usata da movimenti e partiti dell’estrema destra europea per proporre – senza dirlo troppo forte – l’idea di una specie di deportazione di massa soft di migranti, rifugiati, e persino cittadini europei naturalizzati. Sì, avete letto bene: anche chi è nato e cresciuto in Europa, ma ha origini straniere, potrebbe finire nel mirino. Altro che referendum pro cittadinanza inclusiva del prossimo 8-9 giugno!

Il punto è che queste persone vengono definite “non assimilabili”. Una categoria vaga, che può voler dire tutto e niente. Troppo diversi, troppo visibili, troppo musulmani, troppo africani, troppo altro. E quindi via, fuori. Anzi, come diceva Bossi negli anni d’oro: “fora dai bal”. A giustificare tutto questo c’è una vecchia teoria complottista, tornata di moda: quella della “sostituzione etnica”. Secondo questa visione paranoica, le élite globaliste starebbero volontariamente “sostituendo” le popolazioni bianche europee con migranti provenienti da Africa e Medio Oriente. È una teoria pericolosa, senza fondamento, ma che ha già ispirato discorsi d’odio, politiche discriminatorie e in alcuni casi anche atti di violenza.

Dietro alla nuova ondata di “remigrazione” troviamo nomi ben noti della galassia dell’estrema destra. Come Martin Sellner, attivista austriaco, volto noto del Movimento Identitario, un’organizzazione dichiaratamente xenofoba e già bandita da diversi Paesi europei, tra cui Germania e Svizzera. È lui che ha ideato un vero e proprio “masterplan per la remigrazione”, un progetto dettagliato che prevede la rimozione sistematica non solo degli immigrati irregolari, ma anche di cittadini europei con background migratorio considerati “non assimilati”.

Eppure, il progetto non è rimasto confinato a qualche convegno sotterraneo. Sta diventando sempre più pubblico. Il prossimo passo sarà il Remigration Summit, un evento previsto per il 17 maggio 2025. Dove si terrà? Bella domanda. Inizialmente era stato annunciato a Milano, ma di fronte alle proteste il luogo è stato cambiato. Secondo fonti, l’evento dovrebbe svolgersi in provincia di Varese, probabilmente con base logistica a Busto Arsizio. La location esatta è segreta: non per proteggere i partecipanti, ma per evitare che le proteste riescano a bloccarlo. E le proteste non mancano. Il Consiglio comunale di Milano ha approvato una mozione che chiede esplicitamente il divieto del summit, definendolo per quello che è: un raduno che promuove ideologie xenofobe e razziste. Diverse organizzazioni – Anpi, Cgil, Casa della Carità e molte altre – hanno indetto una grande manifestazione pubblica proprio per il 17 maggio, in Piazza Duomo, per dire chiaramente che Milano non è città per chi semina odio.

Chi rischia di essere colpito da queste politiche? Le comunità migranti. Le seconde generazioni. Gli afrodiscendenti. Le famiglie che vivono in Europa da decenni ma continuano ad essere viste come “altre”. La remigrazione, come la intende l’estrema destra, riguarda in gran parte persone africane o di origine africana. Quando si cominciano a fare liste di chi è abbastanza simile e di chi è troppo diverso, il confine tra sicurezza e repressione si assottiglia. E la democrazia rischia di franare sotto il peso di una parola.

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