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“Ho guadagnato 2 miliardi, ma da ricco diventi schiavo del denaro come fosse droga”: le memorie di Nino La Rocca

Si autodefinisce il pugile italiano più seguito di tutti i tempi. E a 66 anni rilancia: "Tornerei a combattere, se ci fosse una proposta valida"
“Ho guadagnato 2 miliardi, ma da ricco diventi schiavo del denaro come fosse droga”: le memorie di Nino La Rocca
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“Mi chiamano ancora tutti Nino, il nome che mi ha dato mia mamma, che era siciliana. La gente si inginocchia quando mi vede, ma sono stato dimenticato dalle alte sfere della boxe, anche perché il pugilato come l’ho conosciuto io, non esiste più”.

Chi è stato Nino La Rocca?
Sono stato il pugile italiano più seguito di tutti i tempi e tra i più forti di sempre.

Oggi cosa fa?
Non alleno più i ragazzi, non sanno più sacrificarsi fino al raggiungere un risultato. La gioventù di oggi è sempre stanca. Io invece continuo ad allenarmi per conto mio, tutti i giorni. Mi mantengo con il peso. Tornerei a combattere, se ci fosse una proposta valida.

Ha sessantasei anni. Lo farebbe con un pari età?
Nella boxe non c’entra l’età, c’entra il peso.

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Si guadagnava molto negli anni Ottanta?
Io ho guadagnato più di due miliardi, con la Fernet Branca bastava andassi sul ring, avevo tutto compreso. Combattevo tanto, all’inizio vincevo sempre per ko e venivo reclamato tanto dal popolo italiano, a Roma il Palazzo dello Sport era sempre pieno, quando c’ero io in programma.

Poi cosa è successo?
Ho fatto tanti errori fuori dal ring, nella vita privata. Sono nato buono, ho sempre dato soldi alle persone. Ai poveri servono i soldi, ma da ricco diventi schiavo del denaro come fosse una droga. Si sta bene da persone normali, né poveri, né ricchi.

Lei è arrivato al Madison Square Garden.
Per un pugile combattere al Madison Square Garden è come arrivare al Quirinale.

Nel 1983, con Sandro Pertini come Presidente, lei è andato anche al Quirinale, quello vero.
Ho lottato tanto per ottenere la nazionalità italiana, l’ho ottenuta grazie ad uno dei più grandi della storia, Pertini. È stato il più bel momento della mia vita, quello, e quando ho incontrato Ali. Con Pertini abbiamo scherzato, lui aveva passione per lo sport, dimostrata anche al mondiale di calcio 1982. Forse ho parlato troppo per avere la nazionalità italiana, poi me l’hanno fatto pagare.

Minà, Pippo Baudo, Vianello e Raffaella Carrà. Era sempre in tv.
Sono legato soprattutto al ricordo di Minà, perché conosceva lo sport. Grazie a lui ho conosciuto Ali, il mio idolo, che vedevo quando ero in Africa, con mio zio Mariano, fratello di mia madre. Dalla Sicilia mio nonno emigrò in Marocco, a Marrakech ho ancora una casa. Ho vissuto là fino al trasferimento in Francia e quindi in Italia.

Le piaceva più allenarsi o uscire di sera?
Col pugilato non puoi scherzare, i tre minuti di un round non passano mai, devi fare una vita da atleta, non come il calcio che vai in campo in 11. A Bogliasco uscivo con Vialli e Mancini. Momenti stupendi. Ma io alle 4 dovevo svegliarmi per fare footing, non tutte le sere potevo stare al ristorante con loro.

Lei è nato in Mauritania, ha la cittadinanza maliana, oltre che quella italiana.
Ho un legame stupendo con l’Africa, dove la gente si aiuta tra loro. Ho fatto alcuni match in Mali, ma non avevano la forza economica per organizzare un titolo.

Pensa di essere stato gestito bene a livello sportivo?
Alla fine della carriera non tanto. Patrizio Oliva pesava tre chili meno di me. Io ero campione d’Europa in carica, me l’hanno fatto difendere in trasferta, mentre Oliva, salito al mio peso, l’ha fatto in Italia. Il manager aveva due dello stesso peso, ne voleva uno e ha sacrificato me.

Oliva era stato campione del mondo, oltre che olimpico da dilettante.
Eravamo della stessa palestra, mai fatto i guanti con lui, lui sapeva chi ero io, la differenza che c’era tra di noi. Io farei anche oggi uno sparring con lui.

Ha qualcosa che le piacerebbe fare ora nella vita?
Mi piacerebbe scrivere un libro sulla mia vita, raccontarla dalla A alla Z, lo hanno fatto tutti, cani e porci. È la gente che me lo chiede.

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