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Rifiutare le finte certezze offerte dal potere è un gesto antifascista

Si cerca di silenziare qualunque voce si allontani dal coro, reprimendo il libero pensiero e le posizioni non conformi alla “verità ufficiale” propagandata
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di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Cosa significa essere antifascisti nel 2025? Sbagliano coloro che considerano anacronistica questa domanda. Generano altrettanta confusione i progressisti più o meno moderati che si appellano alla Resistenza solo quando fa loro comodo, cioè per squalificare le destre al potere senza mai agire alle radici del problema: povertà diffusa, ingiustizie sociali, abbandono degli interessi materiali dei ceti popolari e della classe lavoratrice…

Insomma, esplorare oggi il senso della Resistenza vuol dire chiederci a cosa dobbiamo resistere e farlo ricordando che il fascismo non si ripresenta sotto le spoglie del Ventennio, ma si riattualizza intercettando le angosce del proprio tempo e orientandole verso un “ordine” necessariamente gerarchico, feroce ed escludente.

I nuovi fascisti sono tutti coloro che approfittano del neoliberalismo di guerra per intensificare le ingiustizie e promuovere un suprematismo bianco e occidentale erede della tradizione coloniale che ha permesso al capitalismo di mettersi in cammino secoli fa. Purtroppo questo neofascismo è drammaticamente attuale e dovrebbe impensierirci: l’intero piano di riarmo europeo non poggia forse su questa presunzione di superiorità rispetto al resto del mondo?

Ma la “liberazione” di cui abbiamo tuttora bisogno, non deve riguardare solo una risposta decisa e organizzata alle élite Dem europee e a quelle fascioliberiste dell’asse Trump/Milei/Meloni/AFD… Essa dovrebbe tener conto di quel diritto alla critica e all’espressione che, a partire dal caos pandemico, è stato severamente compresso in nome della narrazione mainstream delle emergenze.

Le crisi multiple del nostro tempo – il declino graduale dell’impero americano, il disastro ecologico e l’aggravarsi del cambiamento climatico, le enormi dispute geopolitiche, l’intensificarsi dei flussi migratori, la svendita selvaggia dei servizi pubblici al migliore offerente, l’aumento delle diseguaglianze sociali, l’esplosione di epidemie e sindemie cui non siamo in grado di affrontare – stanno provocando risposte autoritarie diffuse, non solo nei cosiddetti regimi autocratici, ma anche nelle democrazie stremate dell’Occidente. Quelle dove, sempre di più, si cerca di silenziare qualunque voce si allontani dal coro, reprimendo il libero pensiero e le posizioni non conformi alla “verità ufficiale” propagandata da quasi tutta la stampa, in tv e sui social media.

Il 25 Aprile, insomma, non può ridursi a una festa della memoria come tante altre, bensì deve essere un punto di partenza per una rinascita di lotte coordinate e gioiose contro le nuove forme di violenza – perché l’essenza più intima del fascismo, come fenomeno risorgente, è la violenza contro i fragili, i dissidenti, i “diversi” di ogni tipo – che vorrebbero essere ritenute normali e persino buone per conservare l’ordine e uniformare le opinioni in un passaggio storico pieno di incertezze.

Ecco, rifiutare le finte certezze offerte dal potere è un gesto antifascista elementare, da coltivare e diffondere insieme al piacere di domandare uscendo dagli schemi.

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