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Non sono d’accordo con le restrizioni alla cittadinanza per discendenza: così si tradisce un’antica promessa

"Il governo italiano deve riconsiderare con urgenza le restrizioni imposte dal dl 36/2025 cogliendo gli aspetti positivi che questo fenomeno comporta"
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di Adriana Maria Ruggeri

Nel 1912, durante i lavori preparatori della prima legge sulla cittadinanza italiana, un senatore affermò che la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, già prevista nel Codice Civile del 1865, avrebbe consentito agli emigrati italiani nelle Americhe di essere accolti “a braccia aperte” al loro ritorno, anche dopo generazioni. Oggi, con l’introduzione del Decreto Legge 36/2025 che dovrà nel caso essere convertito in legge entro il 26 maggio, questo principio sembra essere stato tradito.​

Il dl 36/2025 impone restrizioni significative alla cittadinanza per discendenza, limitando l’accesso ai soli discendenti di cittadini italiani entro la seconda generazione. Questa misura, giustificata dal governo come necessaria per prevenire abusi — fenomeni marginali e statisticamente irrilevanti — e per gestire l’elevato numero di richieste, colpisce in particolare i cittadini di origine italiana in Sud America, specialmente in Argentina e Brasile, che ora si vedono negare un diritto storico.

Questa decisione ignora la “Sindrome di Ulisse”, concetto elaborato dallo psichiatra spagnolo Joseba Achotegui, che descrive la condizione di stress vissuto dai migranti a causa della separazione dalla propria terra d’origine. Il suo valore, tuttavia, va oltre la diagnosi clinica. Rende evidente che il legame con le proprie radici non si spezza mai: per i primi emigrati, si manifesta spesso come dolore e struggimento; col passare delle generazioni, può trasformarsi in curiosità, desiderio di conoscenza e recupero identitario — ma non viene mai meno.​

Il legislatore, invece, ignora la complessità di questo legame, appiattendo tutto in logiche numeriche e burocratiche. Non distingue tra i sudamericani — molti dei quali fuggono da condizioni di instabilità non solo economica — e i nordamericani, che vedono nell’Italia la patria da cui discendono e alla quale vogliono attivamente contribuire. Gli italo-americani, in particolare, hanno storicamente svolto un ruolo cruciale per l’Italia: con rimesse economiche, supporto nella Seconda guerra mondiale, lo sbarco in Sicilia, il Piano Marshall, e un’influenza politica e culturale che ha alimentato l’amore per l’Italia oltreoceano.​

In un Paese che affronta un grave spopolamento e una crescita demografica pari a zero, ci si chiede: con chi pensiamo di ripopolare l’Italia, se non con chi si sente italiano nel sangue, nel cuore e nella memoria familiare?​

Il governo italiano deve riconsiderare con urgenza le restrizioni imposte dal dl 36/2025 cogliendo gli aspetti positivi che questo fenomeno comporta, senza timori derivanti da incomprensione e incapacità.

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