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Come si fa a percepire le persone transgender come una minaccia per ‘la donna biologica’?

Decenni di lotta per farci considerare soggetti razionali e autodeterminati, ora le femministe trans-escludenti rivendicano la vagina come unica caratteristica dell'essere 'females'
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Le persone trans esistono, partiamo da un dato di realtà. Può accadere – e accade – che vengano ignorate, private dei diritti fondamentali, insultate, ma continueranno a esistere. Qualcuno potrà addirittura gettarle da un torrente con braccia e gambe fratturate, come accaduto in Colombia a Sara Millerey González Borja, donna transgender di 32 anni di cui conosciamo gli ultimi istanti ripresi in video pochi giorni fa dai passanti, ma che non potrà raccontare la sua storia poiché non ha mai ricevuto i soccorsi necessari a sopravvivere.

Eppure, le persone trans continuano a esistere. Non sono un prodotto della cultura woke, né una minaccia del gender, ne abbiamo testimonianza tra le popolazioni native americane (prima dell’arrivo dei colonizzatori europei), nella Persia del XIII secolo e anche nel nostro amato Impero Romano, il cui imperatore Eliogabalo nel III secolo chiedeva di essere chiamato “signora”, desiderava tratti femminili e faceva abbondante uso di trucco e parrucco per sentirsi più vicino alla sua identità di genere. Esisteva l’artista Lili Elbe, nata in Danimarca nel 1882, esisteva Lucy Salani di Fossano, imprigionata per sei mesi nel campo di concentramento nazista di Dachau. Le donne trans esistono.

La Corte suprema del Regno Unito ha deciso che non possono essere considerate donne, da un punto di vista giuridico, in relazione alle pari opportunità e che dunque non possono godere delle tutele antidiscriminazione riservate al genere femminile. Ad esempio, se in un Parlamento è prevista una quota di rappresentanza equamente divisa tra uomini e donne, le donne trans non potranno considerarsi parte di questo gruppo, pur essendo in possesso del Gender Recognition Act, cioè la rettifica anagrafica del genere. La sentenza interpreta in modo strettamente biologico il concetto di “donna” e potrebbe avere delle ricadute serie nella vita quotidiana e lavorativa delle persone trans. Senza contare che, secondo questa visione, un uomo trans – anche con un certificato di nascita al femminile – potrebbe invece rientrare in quella quota di pari opportunità spettante alle donne.

Le cosiddette “femministe radicali” sono così spaventate dal fantomatico gender da aver perso di vista persino le incoerenze più banali di un approccio strettamente biologico al genere: le donne vere sono quelle con utero e vagina, dicono loro. Quelle che possono partorire, in pratica. Abbiamo attraversato decenni di lotta per farci considerare come soggetti razionali e autodeterminati, per distaccarci da una visione limitata alla donna-madre o alla donna-organo e invece eccole qui pronte a rivendicare la patong come unica caratteristica imprescindibile per essere femmine (females, scrivono sui cartelloni).

Come si fa a percepire le donne trans come una minaccia per “la donna biologica” e non come una risorsa per contribuire ad elevarci tutte, con le nostre differenze? La comunità trans è una delle più marginalizzate in assoluto, persino nei paesi con una legislazione amica (di cui tra l’altro il Regno Unito farebbe parte), dunque perché scaricare su di essa la responsabilità dell’esclusione delle donne dai luoghi decisionali, sociali, sportivi? Le singole donne trans che per fortuna, ogni tanto, riescono a entrare a far parte degli spazi politici, siedono al tavolo contribuendo con uno sguardo ancora più profondo su questioni che senza dubbio ci accomunano e non dividono: le molestie, la violenza di genere, i femminicidi, le discriminazioni sul lavoro.

Cosa dà fastidio a Rowling e compagnia trans-escludente? Che siano più esperte di noi in materia? È forse una gara a chi subisce di più le ingerenze del patriarcato? La presenza delle persone trans non sottrae al femminismo, lo rinforza. L’obiettivo non è togliere visibilità alle donne, ma moltiplicarla. Le persone trans esistevano, esistono ed esisteranno, a prescindere da come le chiamiamo.

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