Giulia Cecchettin uccisa dall'”arcaica sopraffazione”, i giudici: “Le 75 coltellate di Turetta non per crudeltà ma inesperienza”
Mentre le pagine di cronaca nera sono occupate dai femminicidi di due studentesse di 22 anni, Sara Campanella e Ilaria Sula, da Venezia arrivano le motivazioni per cui la Corte d’assise ha condannato Filippo Turetta – l’ex fidanzato assassino di Giulia Cecchettin – condannato all’ergastolo lo scorso dicembre. Nessuna attenuante generica, scrivono i giudici, per “l’efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”. La giovane fu inseguita, picchiata e accoltellata.
Il femminicidio – L’11 novembre 2023 è l’ultimo giorno di vita della studentessa. Nel pomeriggio spedisce alla relatrice l’ultima versione della tesi. Turetta la accompagna verso le 18 in un centro commerciale a Marghera per acquistare un paio di scarpe proprio per la discussione. Si fermano a mangiare in un fast food. Poi lui la riaccompagna verso casa. Raggiungono Vigonovo. A poche centinaia di metri dall’abitazione dei Cecchettin comincia il violentissimo litigio. Lui le regala un peluche, un orsetto con un cuore e la scritta “You and Me”. Lei non lo vuole. Spiega a Turetta che è troppo insistente, la loro storia è ormai finita. Poi apre la portiera e cerca di fuggire. Turetta la raggiunge e la riporta dentro. Un testimone sente e vede, chiama il 112, ma intanto l’auto è ripartita. Non viene lanciato l’allarme.
A cinque chilometri di distanza, nella zona industriale di Fossò, Turetta si ferma di nuovo, estrae un coltello e colpisce la ragazza. L’anatomopatologo conterà 75 coltellate. Poi rientrano in auto, lui cerca di immobilizzarla con dello scotch, ma lei si libera e scappa di nuovo. Lui la insegue, con un altro coltello. Cecchettin inciampa e cade. “Ho iniziato a colpirla con il coltello e le ho dato una decina, diversi colpi, poi ho smesso perché mi faceva impressione”. A quel punto Turetta, con il corpo della vittima in auto, raggiunge il lago di Barcis. Lì getta il corpo nel bosco e riparte fuggendo verso la Germania. Il 18 novembre il cadavere di Cecchettin viene ritrovato.
La confessione e le bugie – Nella sua confessione Filippo Turetta “si è limitato ad ammettere solo le circostanze per le quali vi era già ampia prova in atti d’altra parte”, e questa condotta “è in linea con il contegno tenuto in sede di primo interrogatorio, quando egli non solo ha sottaciuto ma ha apertamente mentito in ordine a diverse, anche gravi, circostanze poi emerse a seguito delle accurate indagini svolte” scrivono i giudici. “Dalle intercettazioni delle conversazioni occorse in carcere tra lui e i genitori – prosegue la sentenza – si evince chiaramente come egli fosse a conoscenza del fatto che, oltre agli elementi fino ad allora emersi, vi era molto altro a suo carico, eppure si è guardato bene dal riferirne in sede di interrogatorio”.
Crudeltà? No, inesperienza – La dinamica del femminicidio non permette di “desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio”, che Filippo Turetta volesse “infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive”, e “non è a tal fine valorizzabile, di per se, il numero di coltellate inferte” secondo i magistrati che hanno escluso l’aggravante della crudeltà. Per i giudici, aver inferto 75 coltellate non sarebbe stato “un modo per crudelmente infierire o per fare scempio della vittima”, ma “conseguenza della inesperienza e della inabilità” di Turetta.
Esaminando la videoregistrazione delle fasi dell’omicidio, il collegio giudicante nota che emergono colpi ravvicinati, rapidi e “quasi alla cieca“, e quindi “tale dinamica, certamente efferata”, si ritiene non “sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato”. Turetta per i giudici “non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito”, cosi ha continuato a colpire fino a quando si è reso conto che Giulia “non c’era più”. Ha dichiarato di essersi fermato “quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: ‘mi ha fatto troppa impressione’, ha dichiarato.
L’agonia di Giulia – Orbene, considerata la dinamica complessiva… non si ritiene che la coltellata sull’occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva”. Anche i punti delle ferite causate dalle coltellate “appaiono frutto di azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio”, per cui non sarebbero un elemento “significativo della sussistenza, in capo all’imputato, di volontà di voler infliggere in danno della vittima sofferenze aggiuntive e gratuite, necessaria al fine di poter ritenere integrata l’aggravante della crudeltà”. L’aggressione è durata complessivamente circa 20 minuti, “lasso di tempo durante il quale ha avuto la possibilità di percepire l’imminente morte. “A tal fine – aggiunge il collegio – manca tuttavia la prova che l’aver prolungato l’angoscia della vittima sia atto fine a sé stesso, frutto della deliberata volontà dell’imputato di provocarle una sofferenza aggiuntiva e gratuita”.
Lucido e razionale – Turetta ha mantenuto “lucidità e razionalità” dopo aver ucciso la ragazza con la “chiara e innegabile volontà di nascondere il corpo in modo quantomeno da ritardarne il ritrovamento” e ha portato a termine una “accurata” operazione di occultamento del cadavere. “La scelta del luogo in cui abbandonare il cadavere – aggiungono – la distanza rispetto alla zona” in cui si è consumato il delitto, le modalità in cui il corpo è stato lasciato, sono elementi” che fanno ritenere “integrati sia l’elemento oggettivo sia quello soggettivo del reato”.
Lo stalking – “È pacifico che le condotte del Turetta abbiano oggettivamente e innegabilmente carattere persecutorio, e siano di per sé in astratto idonee a ingenerare nella vittima uno stato di ansia e di paura e cosi ad integrare la materialità del reato”, ma “l’aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo ‘in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta’” scrivono i giudici che hanno escluso il reato di stalking. La Corte non esclude quindi ciò che viene contestato dall’accusa ma sostiene che deve “avere riguardo a tale cornice temporale”. Per i giudici, oltre all’aspetto cronologico, lo stalking viene meno anche “alla luce di tutti gli atti raccolti nel corso delle indagini, soprattutto alla luce delle dichiarazioni rese dai familiari e dalle persone più vicine alla vittima, non si ravvisano elementi anche solo sintomatici che consentano di ritenere in concreto sussistente in capo a Giulia Cecchettin il contestato ‘grave stato di ansia, turbamento e paura anche per la propria incolumità'”. Poi “il padre della vittima, Gino Cecchettin, all’indomani della scomparsa della figlia e prima ancora di avere elementi sulla sorte della stessa, aveva riferito di non aver percepito alcun disagio in Giulia” circostanza confermata “anche quando è stato sentito dal pubblico ministero in data 20 febbraio 2024”.