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Piazza Loggia, Toffaloni condannato a 30 anni. Il pm: “Se tutti avessero fatto il loro dovere nel 1974, sarebbe stato un caso risolto”

L’imputato, che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto 17 anni, non era presente in aula, così come non lo è mai stato durante le udienze precedenti. A ottobre scorso le autorità elvetiche hanno negato il suo trasferimento in Italia, chiesto dal tribunale di Brescia, perché per la legge svizzera il reato di strage è già prescritto
Piazza Loggia, Toffaloni condannato a 30 anni. Il pm: “Se tutti avessero fatto il loro dovere nel 1974, sarebbe stato un caso risolto”
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Il Tribunale dei minori di Brescia ha condannato a trent’anni Marco Toffaloni, cittadino svizzero oggi 67enne, per essere stato uno degli esecutori materiali della strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. La decisione, che ha accolto la richiesta del pubblico ministero, è arrivata dopo quasi otto ore di camera di consiglio. L’imputato, che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto 17 anni, non era presente in aula, così come non lo è mai stato durante le udienze precedenti. A ottobre scorso le autorità elvetiche hanno negato il suo trasferimento in Italia, chiesto dal tribunale di Brescia, perché per la legge svizzera il reato di strage è già prescritto.

Pena massima – Quella di trent’anni è la massima pena detentiva irrogabile a un imputato minorenne. Secondo l’accusa Toffaloni, all’epoca vicino al movimento eversivo neofascista Ordine Nuovo, piazzò in un cestino dei rifiuti della piazza l’ordigno che esplose durante una manifestazione sindacale, causando otto morti e 102 feriti. Per la stessa condotta è in corso di fronte alla Corte d’Assise il processo nei confronti di un altro imputato, Roberto Zorzi, appena maggiorenne al momento della strage. Come ideatori dell’attentato, invece, sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo gli ordinovisti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte.

La contestazione – Questo il capo di imputazione: “In concorso con altre persone tra le quali Carlo Maria Maggi (condannato all’ergastolo e deceduto) e Maurizio Tramonte, in carcere condannato all’ergastolo in via definitiva, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato appartenendo all’organizzazione eversiva Ordine Nuovo, che aveva promosso l’attentato nell’ambito della pianificazione di una serie di azioni terroristiche, nel corso di una manifestazione in Piazza Loggia indetta dal Comitato permanente antifascista e dalle segreterie provinciali della Cgil, Cisl e Uil, agendo quale autore materiale, concorrendo nel collocamento dell’ordigno esplosivo destinato all’attentato in un cestino portarifiuti, cagionava la strage” . Nel processo minorile non si possono costituire parti civili, ma in aula erano comparsi i rappresentanti di Comune, sindacati e famiglie delle vittime. Presente anche l’avvocato dello Stato in rappresentanza del governo.

Il pm – “È solo il primo passo, naturalmente, perché adesso poi bisogna aspettare gli altri gradi di giudizio, aspettare soprattutto le motivazioni. Comunque, per me, credetemi, la cosa principale, a parte le responsabilità individuali, è che è venuta fuori la verità del contesto” afferma Silvio Bonfigli, magistrato oggi a capo della procura di Cremona che assieme alla collega Bressanelli ha rappresentato l’accusa. “Quindi è un passo importante perché questa è la verità processuale che lentamente anche se inesorabilmente si avvicina a quella storica. Di certo – ha aggiunto Bonfigli – se tutti avessero fatto il loro dovere ad agosto del 1974, questo sarebbe stato un caso risolto“.

La parte civile – “Un altro tassello alla ricostruzione dei fatti che amplia e conferma la responsabilità di Ordine Nuovo” dice Federico Sinicato, legale che tutela gli interessa i familiari delle vittime della strage di piazza della Loggia. “La sentenza è importante – commenta parlando con l’Adnkronos – anche per il contributo che dà alla tesi accusatorio nel processo parallelo a carico di Zorzi in corso davanti alla Corte d’Assise di Brescia”.

Il processo a Zorzi – Il processo a Roberto Zorzi era iniziato lo scorso febbraio e subito rinviato a giugno per carenza di personale. L’imputato, che è cittadino americano, oggi ha 70 anni, non era presente in aula. L’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Silvio Bonfigli e dal pm Caty Bressanelli avevano chiesto l’esame dell’imputato. Stessa richiesta depositata dalla difesa e quindi Zorzi, che da anni vive negli Stati Uniti dove alleva cani dobermann in un allevamento che ha chiamato “Il Littorio”, potrebbe presentarsi in aula a Brescia. Lo scorso novembre il generale del Ros, Massimo Giraudo, testimoniando al processo aveva detto: “Roberto Zorzi viene completamente dimenticato dalle forze di polizia. Nelle indagini della strage di Brescia ci resta praticamente un solo giorno… Entra nelle indagini il giorno successivo allo scoppio quando viene convocato in caserma, ma per l’Arma ne esce praticamente il giorno stesso, nonostante sull’annotazione di polizia ci fosse segnata ‘strage’ come ipotesi accusatoria” aveva spiegato l’alto ufficiale.

L’alibi caduto – Lo scorso marzo era caduto, almeno stando alla versione di uno dei testimoni chiave, l’alibi. Il 7 agosto 1974 l’allora capitano dei carabinieri Francesco Delfino in un verbale inviato in Procura scrisse che “la mattina del 29 maggio’74 il maresciallo Siddi di questo nucleo veniva inviato a Verona per accertare l’eventuale presenza di Zorzi, il 28 maggio, al mattino e appurava che effettivamente lo stesso aveva sostato nel bar stazione di Porta San Giorgio a Verona di proprietà del signor Elia Bellaro”, aggiungendo che “Daniela, la figlia del barista, ricordava perfettamente che Zorzi si era fermato a un tavolo del bar parlando con conoscenti e si era fermato fino oltre le 10 del mattino”. Vale a dire 12 minuti prima dello scoppio della bomba a Brescia. Una ricostruzione smentita a distanza di 50 anni, proprio dalla figlia del barista veronese sentita come teste nel nuovo processo per la strage davanti alla Corte d’Assise presieduta da Roberto Spanò. “Non conosco Zorzi e non ho mai detto queste parole ai carabinieri, che a me non hanno chiesto nulla. Papà ce l’aveva presente perché gli vendeva i biglietti, ma a me il nome di Roberto Zorzi non mi dice nulla”.

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