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Dazi, ecco la rozza formula usata dalla Casa Bianca per calcolare le (presunte) tariffe imposte dagli altri Paesi

Il calcolo è estremamente grezzo: si tratta del rapporto tra deficit commerciale statunitense (differenza tra esportazioni e importazioni) nei confronti di ogni Stato e importazioni negli Usa provenienti dallo stesso Stato
Dazi, ecco la rozza formula usata dalla Casa Bianca per calcolare le (presunte) tariffe imposte dagli altri Paesi
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Altro che tariffe reciproche personalizzate, calcolate sommando Paese per Paese il livello medio dei dazi applicati alle merci Usa, il valore delle barriere non tariffarie e l’Iva, che Donald Trump contro ogni evidenza economica ritiene sia l’equivalente di una barriera all’import. I numeri annunciati dal presidente Usa durante la conferenza stampa del Liberation day con cui ha avviato una guerra commerciale contro il resto del mondo sono stati ricavati con un metodo ben più rozzo di quello che gli analisti si attendevano. Le percentuali elencate nella colonna centrale della tabella imbracciata dal tycoon sotto la voce “Tariff charged to the Usa – Including currency manipulation and Trade barriers“, infatti, non sono altro che il rapporto tra deficit commerciale statunitense (differenza tra esportazioni e importazioni) nei confronti di ogni singolo Stato o area economica e le importazioni negli Usa provenienti dallo stesso Stato.

Una misura estremamente grezza, a voler usare un eufemismo, che secondo l’ufficio dell’United States Trade Representative Jamieson Greer dovrebbe sintetizzare l’effetto delle misure protezionistiche adottate dagli altri Paesi a danno delle aziende Usa. Insomma: il passivo della bilancia commerciale statunitense sarebbe determinato da pratiche scorrette del resto del mondo che penalizzano l’industria locale. Poco importa se quel passivo riguarda solo i beni (sul fronte dei servizi gli Usa sono per esempio in ampio surplus nei confronti della Ue) e ha molte cause a partire dall’attrattività degli Usa per gli investitori stranieri, che rafforza il dollaro e rende quindi le produzioni locali più costose rispetto alle importazioni.

Il dato ottenuto in base a quell’assunto è stato poi diviso per due – perché Trump ha detto di voler essere “indulgente” – e così si è arrivati alle tariffe che dal 9 aprile colpiranno le merci importate oltreoceano. Con l’aggravante, quanto a rigore metodologico, che nel caso il valore risultante fosse inferiore al 10% la tariffa è stata arrotondata al rialzo per arrivare comunque al 10, pure se il Paese terzo non vanta alcun surplus nei confronti degli Usa. Come nel caso delle isole Heard e McDonald, disabitate e prive di attività produttive. Per l’Unione europea il rapporto è del 39%, del tutto incongruente con i dazi effettivamente applicati alle merci americane (che secondo Bruxelles si fermano al 3% circa). Dimezzandolo si arriva al 20% deciso da Trump. Paradossale poi la mazzata sui Paesi più poveri, che per questo importano molto poco dagli Usa: il Lesotho si vedrà applicare una tariffa del 50%, la Cambogia del 49%.

Il primo ad accorgersi, con sconcerto, dell’approccio dozzinale con cui erano stati ottenuti i numeri che promettono di sconvolgere il commercio mondiale è stato il giornalista del New Yorker James Surowiecki, che l’ha scritto su X nella notte italiana. Il vice portavoce della Casa Bianca Kush Desai gli ha risposto a stretto giro sostenendo che non era vero e che, al contrario, erano state “letteralmente calcolate le barriere tariffarie e non tariffarie”. Ma subito sotto ha postato lo screenshot della formula utilizzata dall’Us Trade representative, che – una volta “tradotte” le lettere greche usate nella formula – conferma in pieno l’intuizione di Surowiecki. E il fatto che nel calcolo non entra alcun fattore legato ai dazi altrui sulle merci Usa. Del resto il comunicato diffuso dopo la conferenza di Trump ammette candidamente checalcolare individualmente gli effetti sul deficit commerciale di decine di migliaia di politiche tariffarie, regolamentari, fiscali e di altro tipo in ogni paese è complesso, se non impossibile“, ma “i loro effetti combinati possono essere approssimati calcolando il livello tariffario coerente con l’azzeramento dei deficit commerciali bilaterali”. Tradotto: ci siamo accontentati di prendere i nostri deficit commerciali e dividerli per le esportazioni di quel Paese nei nostri confini.

Il premio Nobel Paul Krugman, nella sua newsletter su Substack, ha commentato: “Non faccio lo snob. Ma quando è in gioco il destino dell’economia mondiale, la stupidità maligna del processo politico è presumibilmente importante quanto le politiche stesse. Come può qualcuno, che siano imprenditori o governi stranieri, fidarsi di qualcosa che esce da un’amministrazione che si comporta in questo modo?”. A rendere ancora più surreale il tutto c’è il fatto che, sempre sul social X, molti utenti segnalano che la formula impiegata dalla Casa Bianca è esattamente quella restituita da ChatGPT, Grok e altri modelli di intelligenza artificiale a chi chiede suggerimenti per impostare una politica tariffaria chiavi in mano.

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