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“In Olanda studio l’agricoltura verticale, che è il futuro. Tornare in Italia? Ho paura, il contesto mi spaventa”

Michele Butturini si è trasferito nel 2016. Oggi crea modelli 3D che permettono di descrivere la pianta e di simulare i processi che si verificano al suo interno
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“Un po’ Matrix, un po’ il Metaverso”. Nelle parole di Michele Butturini, ricercatore nel dipartimento di Orticoltura e fisiologia dei prodotti alla Wageningen University, fare ricerca nella coltivazione verticale e nell’idroponica oggi è anche questo. Soprattutto nella migliore università al mondo per l’innovazione agraria, dove si è trasferito nel 2016 dopo una triennale a Trento in Biotecnologie. “È la Silicon Valley dell’agricoltura. Ora qui mi occupo dello sviluppo di un modello 3D di pomodoro nano, con l’obiettivo di ottimizzarne la crescita nelle fattorie verticali”.

Risparmio idrico, tutela dei terreni, eliminazione di pesticidi e fertilizzanti. Secondo il ricercatore, il futuro ambientale passa (anche) dalla coltivazione verticale. Butturini lavora a un progetto di modeling (o modellizzazione): crea modelli 3D che permettono di descrivere la pianta e di simulare i processi che si verificano al suo interno. “Il bello di questo approccio è che si può osservare il vegetale crescere in un ambiente virtuale”, racconta. “È un settore recente e le varietà disponibili oggi non sono state ottimizzate per questo tipo di coltura. Noi puntiamo a una selezione mirata in tempi rapidi”.

L’agricoltura verticale può aiutare a soddisfare la domanda di prodotti freschi, in particolare nelle aree densamente popolate o isolate, rendendole autosufficienti. E secondo lo studioso, integrerà l’agricoltura tradizionale, soprattutto in serra, e porterà miglioramenti in termini di redditività. “Dal punto di vista idrico – spiega Butturini – è uno dei sistemi più sostenibili mai esistiti. Si coltiva in idroponica, già molto efficiente, e c’è la possibilità di recuperare l’acqua del condizionatore e riutilizzarla. Stessa cosa vale per la riduzione di consumo di suolo”. Meno sostenibile è invece il consumo elettrico: “Le tecnologie LED sono migliorate, ma la transizione a fonti rinnovabili è ancora lontana”.

Secondo le stime riportate dal sito ReaserchAndMarkets.com, il settore vedrà una crescita globale, con un incremento di oltre dieci milioni di dollari per il 2030, corrispondente al +221,8 per cento rispetto al 2022. “Il fratello di Elon Musk, Kimbal, membro del consiglio di amministrazione di SpaceX, possiede una compagnia di agricoltura verticale a New York. È possibile ci siano delle convergenze di interessi”. Del resto, ricorda Butturini, tra i primi sponsor del settore c’è anche la Nasa. “Se dovessimo sviluppare una coltivazione in ambienti spaziali, potrebbe far parte della dieta degli astronauti o dei primi coloni su altri pianeti. Si parla di un orizzonte di circa 20 anni: pur essendo un’idea futuristica, non è poi così lontana”.

Il progetto di cui si occupa il ricercatore italiano è condotto dall’università pubblica, ma è finanziato da privati. “Pro e contro. È necessario intercettare gli ambiti su cui si investe, e di solito si tratta di ricerche meno teoriche, che hanno un’applicazione più immediata. Però allo stesso tempo permette a noi ricercatori di avere molte più possibilità economiche e più stabilità per condurre il lavoro”. Il rapporto tra aziende e accademia, sottolinea, è molto stretto: “Nel nostro campus c’è Unilever, nel board c’è Syngenta, solo per citarne alcune. C’è un rapporto diverso con il privato. Va da sé che il lato negativo è l’essere legati alle necessità dell’industria”.

Intanto anche in Italia il settore cresce. Tra le società più promettenti ci sono Planet Farms – che è riuscita a rendere operativa in tempi record la nuova struttura in provincia di Como, dopo un incendio nella sede milanese a inizio 2024 – e Agricola Moderna: “È il classico sogno della startup che ce l’ha fatta. Sono giovani e preparati”. Anche a livello universitario, racconta lo studioso, alcuni poli sono all’avanguardia. “Su tutti, Bologna e Napoli. Il problema, in generale, è che le università non collaborano con il privato. Credo che ci sia una sorta di resistenza, non so se dovuta a difficoltà burocratiche o a un tabù”. E secondo Michele, potrebbe essere un limite: “L’orticoltura deve per forza interfacciarsi con le aziende: stiamo parlando di prodotti”.

Per questo, pensa, gli studiosi rimangono all’estero. “Non credo nella meritocrazia, un’ideologia usata per giustificare i privilegi di chi ha più risorse. Io avevo più possibilità di altri. Non provengo da una famiglia dell’alta borghesia, appartengo alla classe media, ma è comunque considerabile una fortuna. Mi ha permesso di studiare e vivere a Trento, venendo da Verona, e di fare la magistrale in Olanda senza dover lavorare”. E aggiunge: “Non sono un genio, e anche lo fossi, tantissimi geni non arrivano a fare ciò che vorrebbero. Non mi sento più ‘cervello’ di altri, ma sì, sono in fuga”. A spaventarlo sono soprattutto gli stipendi bassi e la difficoltà nel trovare lavoro: “Rimango qui perché il contesto del mio Paese mi spaventa. Ho paura di tornare in Italia”.

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