Ue, in manette lobbisti di Huawei per corruzione nei confronti di europarlamentari. Sigilli agli uffici di Forza Italia
Tornano i sigilli al Parlamento europeo, tornano gli arresti per corruzione, tornano gli scandali che coinvolgono eurodeputati e i loro assistenti. Con il Qatargate che riaffiora dopo due anni con la richiesta della Procura belga della revoca dell’immunità per le europarlamentari del Pd, Alessandra Moretti ed Elisabetta Gualmini, un centinaio di agenti della polizia giudiziaria federale hanno perquisito all’alba di giovedì 21 indirizzi nella regione di Bruxelles, nelle Fiandre, in Vallonia e anche in Portogallo. Sono diversi i lobbisti fermati, sette dei quali lavorano per il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, col sospetto di aver corrotto attuali o ex parlamentari europei per promuovere la politica commerciale dell’azienda nel Vecchio Continente. L’operazione “Generazione” è partita in seguito a un’indagine aperta con le accuse, a vari livelli, di organizzazione criminale, corruzione, falsificazione e uso di documenti falsi e riciclaggio di denaro. E nel pomeriggio di giovedì le autorità francesi, in coordinamento con quelle belghe, hanno arrestato una persona, mentre sono state effettuate anche perquisizioni all’interno del Parlamento di Bruxelles che hanno portato al sequestro di due uffici, uno dei quali appartiene, secondo quanto confermano due fonti sul posto a Ilfattoquotidiano.it, agli assistenti dell’europarlamentare Marco Falcone di Forza Italia. La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, è stata informata delle misure: “Abbiamo ricevuto una richiesta di cooperazione dalle autorità belghe per assistere l’indagine”, fa sapere una portavoce del Parlamento europeo precisando che “il Parlamento onorerà rapidamente e pienamente” la richiesta.
Falcone è alla prima esperienza da eurodeputato al Parlamento europeo e se si studia il suo profilo non sembra essere ‘interessante’ per una multinazionale come Huawei. È infatti membro delle commissioni per i Problemi Economici e Monetari, della commissione speciale sulla crisi degli alloggi nell’Unione europea (HOUS), della delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e l’Unione del Maghreb arabo (DMAG), oltre a figurare come membro sostituto della commissione per la pesca (PECH) e della delegazione per le relazioni con l’India (D-IN). Non è strano, quindi, che tra gli incontri avuti con i gruppi di pressione non ci siano meeting con rappresentanti di Huawei. Nella serata di giovedì, Forza Italia ha diffuso una nota in cui si dice che “la delegazione del partito al Parlamento Ue precisa che nessun tipo di utilità di qualsiasi genere è mai stata conferita a membri o componenti dello staff. Inoltre, nessun invito è stato mai raccolto, né per visite in Cina né tantomeno per assistere a eventi allo stadio”. Fonti interne al partito azzurro spiegano a Ilfattoquotidiano.it che Falcone è totalmente estraneo alla vicenda e che né lui né i suoi assistenti sono stati raggiunti da alcuna comunicazione giudiziaria. E aggiungono che “quei locali sono stati perquisiti perché nella passata legislatura erano sede degli uffici degli assistenti dell’eurodeputato Fulvio Martusciello“, sempre di Forza Italia.
L’altro ufficio posto sotto sequestro è quello di Adam Mouchtar, assistente dell’europarlamentare bulgaro Nikola Minchev, in quota Renew Europe. Anche lui, come Falcone, è alla sua prima legislatura, ma a differenza dell’eurodeputato italiano è membro della commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) che può essere di interesse per una multinazionale come Huawei, dato che disciplina il mercato interno dei 27 Paesi membri. Ma soprattutto a essere interessante è il nome del suo assistente. Mouchtar è un funzionario di lunga data e co-fondatore di un gruppo chiamato EU40 che aveva come presidente la politica greca Eva Kaili, protagonista nell’inchiesta sul Qatargate. “Siamo profondamente sconcertati per la situazione attuale e per i presunti illeciti. È superfluo dire che condanniamo con fermezza qualsiasi forma di corruzione. Ci aspettiamo che il Parlamento collabori pienamente con le autorità giudiziarie”, ha commentato un portavoce della presidente di Renew Europe, Valérie Hayer.
Lo scandalo, quindi, tocca nuovamente l’Italia. Non solo per le perquisizioni nell’ufficio di Falcone, ma anche per l’arresto di quello che viene indicato come l’obiettivo principale dell’operazione: Valerio Ottati, 41 anni, direttore degli affari pubblici dell’ufficio Huawei all’Unione europea dal 2019. Ottati, però, è passato a lavorare per il colosso cinese solo dopo aver passato dieci anni a svolgere il ruolo di assistente all’interno del Parlamento europeo, sia per un deputato di Forza Italia (Ppe) sia per uno del Pd (S&D) che non risultano essere indagati. Basta guardare il suo curriculum per capire che, nella sua stagione forzista, i contatti con Pechino sono stati frequenti. Dal 2009 al 2014, secondo quanto confermato dalle fonti a Ilfattoquotidiano.it, Ottati è stato assistente dell’ex europarlamentare di Forza Italia Crescenzio ‘Enzo’ Rivellini per il quale si occupava proprio di rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, con mansioni che comprendevano anche il “dialogo sulla cooperazione per l’innovazione UE-Cina, relazioni commerciali UE-Cina, questioni relative all’accesso al mercato e agli investimenti”.
Dal 2014 al 2019, appena prima di entrare in Huawei, Ottati ha poi lavorato come assistente dell’ex eurodeputato Dem Nicola Caputo, oggi in Italia Viva. Nel suo curriculum si legge che la principale occupazione si era spostata dalle relazioni con la Cina al settore dell’agricoltura, dato che Caputo era membro della commissione AGRI del Parlamento europeo. Ma nell’ultimo anno di legislatura, dal 2018 al 2019, è stato anche parte della delegazione per i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, mentre dal 2015 era solo un membro sostituto, ruolo per il quale avrà potuto godere della pregressa esperienza di Ottati.
“Non era affatto un tecnico. È stato assunto per le sue conoscenze”, dicono a Follow The Money fonti che conoscono Otatti e che chiedono di rimanere anonime. “Organizzava molti incontri con i parlamentari europei e poteva invitare le persone agli eventi”, aggiungono. Eventi che, secondo la Procura, sono solo la parte legale delle relazioni intessute dal dipendente Huawei e dai suoi potenziali complici. Nessuna borsa piena di soldi come per il Qatargate, però: in questo caso, hanno ricostruito gli inquirenti, la presunta corruzione consisteva in regali di valore, tra cui smartphone Huawei, biglietti per partite di calcio (il colosso cinese ha una tribuna privata al Lotto Park, stadio dell’Anderlecht), viaggi o trasferimenti di alcune migliaia di euro.
L’attività corruttiva, secondo chi indaga, andrebbe avanti dal 2021, “praticata regolarmente e in modo molto discreto sotto le mentite spoglie di attività di lobbying commerciale e assumendo varie forme, come la remunerazione per posizioni politiche o persino regali eccessivi, come spese di vitto e di viaggio, o persino inviti regolari a partite di calcio”, ha confermato la Procura federale, senza menzionare espressamente Huawei. Secondo quanto ricostruito da Le Soir, i trasferimenti di denaro in favore di alcuni eurodeputati sono stati effettuati tramite società portoghesi, motivo per cui le perquisizioni si sono svolte anche nel Paese iberico. In tutto, secondo quanto scrivono i media, sarebbero circa 15 gli attuali o ex eurodeputati coinvolti. “I benefici finanziari legati alla presunta corruzione sarebbero stati mescolati a flussi finanziari collegati al pagamento delle spese della conferenza e versati a vari intermediari allo scopo di nasconderne la natura illecita o di consentire agli autori di sfuggire alle conseguenze delle loro azioni – continuano – Da questo punto di vista, l’indagine mira anche a rilevare, ove opportuno, elementi di riciclaggio di denaro”.
L’attivismo di Huawei, sempre secondo le indagini, si sarebbe intensificato a partire dal 2019 per contrastare le pressioni ostili di Washington che avevano l’obiettivo di escludere le compagnie di telecomunicazioni cinesi dai mercati sensibili. La Procura, puntualizzano i media che hanno pubblicato l’inchiesta, rifiuta di confermare qualsiasi coinvolgimento diretto di Huawei nella vicenda.