La chiamano già “Reverse brain drain”, cioè controfuga dei cervelli: dagli Usa verso l’Europa. Nelle ultime settimane Donald Trump ha iniziato a tagliare i fondi alla ricerca e a bloccare i progetti legati a temi come inclusione e questioni di genere, anche nelle scienze dure. Congelamenti di risorse, stop alle assunzioni di dottorandi, revoche di contratti di ricerca appena firmati sono già realtà, i ricercatori di tutto il mondo protestano nelle piazze, e dagli Usa cominciano ad arrivare più richieste per lavorare negli atenei. europei. L’Unione europea allora si sta attrezzando per arrivare preparata a un eventuale esodo di menti, e studia un piano di permessi temporanei per offrire un “rifugio” ai ricercatori.
I ricercatori Usa e le proteste – La preoccupazione degli accademici statunitensi probabilmente cova da mesi. Secondo quanto riferito a ilfattoquotidiano.it dalla Max Planck Society, una delle più importanti istituzioni europee per la ricerca di base, l’anno scorso – prima dell’elezione di Trump ma in piena campagna elettorale – per i Research groups del Max Planck sono arrivate più candidature dagli Stati Uniti rispetto all’anno precedente. “Non si poteva ancora parlare di effetto Trump, ma il 1° aprile 2025 si aprirà il nuovo programma post-doc e allora è possibile che lo vedremo”, dicono. Alla conferenza annuale dell’American association for the advancement of Science (Aaas) – la più grande associazione scientifica al mondo e l’editore della rivista scientifica Science – che si è tenuta a Boston dal 13 al 15 febbraio, la Technische Universität di Dresda, una delle principali università tecniche della Germania e una delle più prestigiose d’Europa, ha riscontrato un interesse anomalo da parte dei ricercatori statunitensi. “Metà delle nostre conversazioni allo stand si sono concentrate su domande riguardanti opportunità di studio e posizioni da postdoc in Germania, alcune anche per ruoli da professore” ha fatto sapere l’Università. Un dato insolito se si considera che le conferenze dell’Aaas sono dedicate allo scambio accademico e alla presentazione di risultati scientifici di calibro internazionale, non al reclutamento. Il 7 marzo gli accademici di tutto il mondo si sono riuniti nelle piazze sposando l’iniziativa “Stand up for Science” lanciata dai colleghi americani. “Gli scienziati non saranno silenziati” è il messaggio della rivista britannica Nature contro le politiche della nuova amministrazione, che rischia di depotenziare l’indipendenza della Scienza.
Le minacce e il progetto dell’Europa – Il livello di tensione è tale che il National institute of health (Nih) negli Usa ha sospeso in massa le sovvenzioni alla ricerca per i progetti scientifici in corso che riguardino la salute Lgbtq+, l’identità di genere e tutto quello che nel settore biomedico ha a che fare con l’inclusività. Secondo quanto riferito dai funzionari del Nih alle riviste scientifiche, centinaia di lettere di licenziamento sono in arrivo perché alcuni temi non sono più una “priorità” per la ricerca pubblica. In questo scenario l’Europa si starebbe attrezzando per accogliere i cervelli in fuga. Secondo quanto ricostruito dalla rivista Science Business, in una riunione avvenuta a fine febbraio al Parlamento europeo, la presidente del Consiglio europeo della ricerca (Erc) Maria Leptin ha detto di essere favorevole a “offrire un rifugio” ai ricercatori minacciati da Trump. Nel corso della stessa riunione, la Commissaria Ue per la Ricerca avrebbe dichiarato che è in corso di valutazione la creazione di un “passaporto speciale” per la Scienza. Non è un cantiere la programmazione di fondi specifici dell’Ue per i ricercatori americani, l’idea sarebbe quella di implementare una blue card, cioè il permesso speciale riservato alle figure di alta qualificazione tecnica nell’Ue che sarebbe esteso ai ricercatori Usa . “La controfuga dei cervelli non è ancora un trend ma è plausibile che ci sarà – dice a ilfattoquotidiano.it Nicola Dengo, vicepresidente di Eurodoc, associazione che riunisce i dottorandi e i ricercatori junior in Europa – resta da sperare che non penalizzi il sistema già precario dei ricercatori europei”.