La stagione 2024-2025 del tartufo bianco si è chiusa con un bilancio drammatico. Per trovare un’annata così deludente bisogna tornare al 1984. “Noi tartufai siamo disperati” dichiara Stelvio Casetta come riporta Il Corriere della sera. “Non basta nemmeno il fiuto straordinario del cane per trovare un prodotto che non c’è”. L’andamento della stagione è stato a dir poco anomalo. Inizialmente le abbondanti piogge e i primi freddi avevano lasciato sperare in una raccolta abbondante. Il 12 ottobre, con l’avvio della Fiera internazionale del tartufo bianco, i prezzi si attestavano intorno ai 350 euro all’etto, tra i più bassi degli ultimi anni. Poi, però, da metà novembre il tartufo è diventato introvabile e i prezzi sono schizzati alle stelle, superando i 6.000 euro al chilo.
“Sentivo dei facili entusiasmi”, ammette Casetta, “ma presto i tartufi sono scomparsi dalle nostre colline”. E aggiunge: “Non si pensi che a noi tartufai faccia comodo quando i prezzi salgono. È mille volte meglio trovare più pezzi a un prezzo più basso, soddisfacendo la domanda dei clienti. Noi non facciamo finanza, siamo custodi di un prodotto simbolo del nostro territorio, andiamo nei boschi di notte, rischiamo l’incolumità”.
Le cause del crollo della produzione potrebbero essere due, spiega Carlo Marenda, fondatore del progetto Save the Truffle con l’agronomo Edmondo Bonelli. “La prima è legata all’innalzamento delle temperature durante il fine settimana di Ognissanti, la seconda è più preoccupante: potrebbe essere una tendenza irreversibile causata dalla crisi climatica. Dopo due anni di siccità, una stagione piovosa non è bastata a ristabilire l’equilibrio”. I tartufi bianchi stanno scomparendo dalle Langhe e sono sempre più rari anche nel Roero, dove si cava il prestigioso bianco delle Rocche, il cru del Tuber magnatum pico. A rischio c’è un intero comparto che vale 250 milioni di euro e garantisce migliaia di posti di lavoro.
Per fronteggiare la crisi, la Regione ha adottato alcune misure: ha posticipato l’inizio della cerca, ha istituito un registro con 22mila piante tartufigene segnalate e ha attivato la Carta delle attitudini alla produzione dei tartufi, che prevede un’indennità fino a 450 euro per ettaro per i proprietari che si impegnano nella cura delle piante. Inoltre, da quest’anno è operativo un piano di recupero delle tartufaie in declino, che offre sostegno a proprietari, comuni e associazioni per interventi di gestione forestale mirati a incrementare la produzione del tartufo bianco. Ma i tartufai non sono sicuri che tutto questo possa bastare: “Contro i cambiamenti climatici possiamo fare poco”, ammette Marenda. “Ma possiamo tutelare e rinnovare gli alberi. La Regione fa bene a sostenere il settore, ma dobbiamo essere noi tartufai a reinvestire i guadagni nella cura dei boschi. Se non lo facciamo, il tartufo bianco scomparirà”.
L’“annus horribilis” del Tuber magnatum pico si è ufficialmente concluso alla mezzanotte del 31 gennaio, ma le conseguenze sono evidenti. Ad Alba, per la prima volta, fuori dai ristoranti è comparso il cartello: “Qui non si serve tartufo bianco“. Un segnale inequivocabile della crisi. “La scoperta più grande che abbiamo fatto quest’anno”, afferma Mauro Carbone, direttore del Centro Studi nazionale del tartufo, “è che di questo prodotto sappiamo ancora meno di quanto pensavamo”.
I numeri confermano la gravità della situazione. “Basta guardare il borsino del tartufo”, spiega Carbone. “Mai a dicembre il Tuber era arrivato a costare 6.000 euro al chilo. Di solito, i tartufi migliori si trovano proprio in questo mese, a un prezzo più accessibile. Nel 2024, invece, per la prima volta sono costati di più a dicembre che a ottobre”. Una conferma che la domanda resta altissima, ma l’offerta è sempre più scarsa. Da New York a Singapore, il tartufo bianco d’Alba continua a essere uno dei prodotti più ricercati al mondo, con i milionari disposti a qualsiasi cifra pur di assicurarsi una preziosa pepita da grattugiare su un piatto di tajarin o su un uovo. E il problema non riguarda solo il Piemonte. Anche a San Miniato, Acqualagna, in Molise, Basilicata e Istria, il tartufo bianco è stato pressoché introvabile. “In Toscana, già da novembre, molti ristoranti hanno smesso di servirlo”, sottolinea Antonio Degiacomi, presidente del Centro Studi. “Siamo a un punto di non ritorno: o si investe nella tutela delle tartufaie, oppure il tartufo bianco rischia di scomparire. Non vogliamo una Fiera del tartufo senza tartufo”. L’Ente Fiera ha già individuato la priorità per il futuro. Con il recente avvicendamento alla guida si punterà sulla tutela delle essenze tartufigene, come rovere, pioppo, carpino e tiglio.