Il 2002 venne proclamato dall’Onu “Anno internazionale della montagna” su proposta di un piccolo stato montuoso dell’ex Unione Sovietica, il Kirghizistan. Da allora si è stabilito che l’11 dicembre di ogni anno si celebri la giornata internazionale della montagna.

A distanza di oltre un ventennio si ripete un evento simile: questa volta è uno stato confinante, il Tagikistan, a chiedere ed ottenere che il 2025 venga proclamato “Anno internazionale per la conservazione dei ghiacciai”, e il 31 marzo di qui a venire diventerà la giornata internazionale dei ghiacciai. La risoluzione Onu di riferimento ricorda che “i ghiacciai sono una componente critica del ciclo idrologico e che l’attuale scioglimento accelerato e il ritiro dei ghiacciai hanno gravi ripercussioni sul clima, sull’ambiente, sul mantenimento del benessere e della salute umana e sullo sviluppo sostenibile”; si aggiunge anche che “in molte zone di alta montagna, si prevede che il ritiro dei ghiacciai e lo scioglimento del permafrost ridurranno ulteriormente la stabilità dei pendii e che l’incidenza delle inondazioni dovute allo straripamento dei laghi glaciali o alla pioggia sulla neve, alle frane e alle valanghe di neve aumenteranno e si verificheranno in nuove località o in stagioni diverse”. Altre conseguenze più o meno dirette vengono identificate nella diminuzione di risorse idriche nei bacini fluviali, cali delle rese nell’agricoltura di montagna, ridotta disponibilità di acqua a valle e aumento del livello medio globale del mare.

In Italia il primo elenco dei ghiacciai nazionali risale al 1925, da allora gli aggiornamenti si sono susseguiti con continuità; nel 1927 furono censiti 773 ghiacciai alpini ed uno appenninico (quello del Calderone al Gran Sasso, il ghiacciaio più meridionale d’Europa, dichiarato definitivamente estinto nel 2019 e declassato a glacionevato). A cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso il numero risultava aumentato a più di 800, ma solo perché lo scioglimento aveva causato la suddivisione di diversi di essi in porzioni distinte più piccole; la tendenza è continuata nei decenni seguenti, nel 1993 sull’arco alpino italiano si contavano oltre 1300 ghiacciai ma con una superficie complessiva in riduzione. Nel più recente catasto italiano del 2015 sono stati descritti 903 ghiacciai, il confronto tra i dati areali di questo censimento con quelli del Catasto CGI-CNR (1959-1962) indica una riduzione della copertura glaciale del 30%.

Il ghiacciaio del Careser, nel gruppo Ortles-Cevedale in Trentino-Alto Adige, presenta la più lunga serie storica di misurazioni nell’arco alpino. Dall’anno idrologico 1996/67 al 2010/11 ha perso oltre 50 metri di spessore, e più recentemente si registra una perdita media di 2-2,5 metri l’anno; nel 2007 era stata rilevata una profondità massima di 80 metri. Si stima che al 2050 i ghiacciai presenti sulle Alpi orientali versante italiano si estinguerebbero totalmente, resisterebbero quindi solo quelli più ad ovest, e al 2100 tutti i ghiacciai alpini potrebbero perdere fino al 90% della loro massa.

I ghiacciai, indicatori del cambiamento climatico, sono sia testimoni che vittime e la loro scomparsa è direttamente collegata all’aumento delle emissioni di gas serra. Per prenderci cura di loro, dobbiamo cambiare il modo in cui li guardiamo: oggi vengono perlopiù considerati in termini di proprietà e redditività, come un mezzo dedicato ai nostri bisogni umani e all’attività commerciale. Di conseguenza assistiamo ad accelerazioni del loro degrado attraverso la pratica dello sci estivo, o gli scavi meccanici come in Marmolada nel 2005 o più di recente sul Teodulo, per improbabili gare di sci oltre i tremila metri di quota con condizioni meteoclimatiche che di fatto ne hanno in seguito impedito lo svolgimento: si arriva a parlare di ghiacciai economici perché gli sforzi portati avanti per rallentarne il ritiro sono dovuti alla protezione di un interesse economico, come la conservazione della neve per lo sci invernale o il mantenimento del turismo dei ghiacciai. Ma la tecnica di copertura dei ghiacciai non li preserverà se non in minima parte, anzi in questo caso il rimedio può peggiorare la situazione ambientale. Occorre seguire altre strade.

Nel 2019 in Islanda si è celebrato il primo funerale pubblico di un ghiacciaio, ora si sta pensando anche ad un apposito cimitero. Al di là delle provocazioni, le previsioni annunciano una vera e propria pandemia e i nostri tempi di reazione non lanciano segnali positivi.

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