L’ultima beffa è arrivata due giorni fa, quando il Colle ha bocciato l’emendamento al dl fisco riformulato dal governo che avrebbe raddoppiato il 2 per mille incassato dai partiti. In coda a quella proposta compariva anche un aumento del tetto di 525 milioni applicato ai soldi destinati al non profit attraverso il 5 per mille. Ma, dopo lo stop di Sergio Mattarella al maxi regalo, le forze politiche hanno comunque ottenuto un aumento dei finanziamenti di quasi 5 milioni, mentre la norma attesa da anni dal terzo settore è sfumata. Se nulla cambia, continuerà a ricevere solo una parte della cifra che i contribuenti hanno scelto di devolvere con la dichiarazione dei redditi. L’ultima speranza è negli emendamenti alla legge di Bilancio, ma i segnali che arrivano da Palazzo Chigi non sono rassicuranti.

Un passo indietro. L’universo del non profit – 360mila istituzioni, quasi 1 milione di dipendenti diretti – chiede da sempre di eliminare la soglia massima che circoscrive le risorse distribuibili con il meccanismo reso strutturale nel 2015. Quella limitazione ha l’unico scopo di lasciare qualche soldo in più nelle casse dello Stato, a scapito delle associazioni e onlus esplicitamente indicate come beneficiarie dal cittadino. E dal 2017 a oggi ha sottratto al terzo settore 81,6 milioni di cui 28 solo nel 2023, quando sulla carta 17 milioni di italiani avrebbero devoluto a enti non profit (oppure ricerca scientifica e sanitaria, associazioni sportive dilettantistiche o attività sociali svolte dal comune di residenza) ben 553 milioni.

Dieci giorni fa un gruppo di grandi associazioni e ong – ActionAid, Fondazione Airc, Aism/Fism, Emergency, Fai – Fondo per l’Ambiente Italiano, Lega del Filo d’Oro, Medici Senza Frontiere, Save the Children, Fondazione Telethon e Unicef – ha di nuovo fatto appello al governo perché inserisca in legge di Bilancio la cancellazione del tetto o almeno un adeguamento alla crescita delle scelte espresse. Esattamente quello che è stato fatto sul fronte del 2 per mille. E in questo caso in ballo non ci sono i bilanci dei partiti ma importanti progetti di pubblica utilità che non potranno partire: dai centri educativi per i minori che abitano in quartieri svantaggiati gestiti da Save the children ai trial terapeutici dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla e della sua fondazione Fism, passando per gli ambulatori di Emergency nelle periferie urbane e nelle zone più disagiate.

Per ora sono arrivate solo promesse. La scorsa estate, poco prima dell’entrata in vigore delle modifiche al Codice del Terzo settore, la viceministra alle politiche sociali Maria Teresa Bellucci in un’intervista a Vita aveva garantito che il governo avrebbe “lavorato su un aumento dell’autorizzazione alla spesa” da inserire in legge di Bilancio in modo da “valorizzare le scelte dei contribuenti”. In concreto nulla si è mosso. Il governo nel suo emendamento al dl fiscale, collegato alla manovra, aveva sì disposto un incremento a 553 milioni, ma quando il Quirinale ha fermato il blitz sul 2 per mille ha rinunciato all’intero pacchetto.

L’attenzione è puntata sugli emendamenti al ddl di Bilancio, che nella versione licenziata dal consiglio dei ministri a ottobre non contiene alcuna novità sul punto e in compenso imporrebbe agli enti agli enti che ricevono oltre 100mila euro di contributi pubblici di inserire un rappresentante del Mef nei loro organi di controllo. La proposta di Maria Immacolata Vietri e Gianluca Vinci, deputati di FdI, che porterebbe a 575 milioni l’anno l’autorizzazione di spesa, è tra i segnalati dal gruppo. Ma non compare nella lista governativa dei “supersegnalati” – particolarmente graditi a Palazzo Chigi – che circola in queste ore in Parlamento. Idem per quello identico di Lega, Noi Moderati e minoranze linguistiche che alza il limite a 535 milioni nel 2025, 555 nel 2026 e 565 dal 2027. E lì dentro non ci sono nemmeno gli emendamenti di opposizione sullo stesso argomento (ne hanno presentati il dem Nicola Stumpo e i deputati di Avs Zanella, Grimaldi e Borrelli). Venerdì il viceministro con delega al fisco Maurizio Leo si è impegnato a confermare l‘esclusione dal regime Iva per gli enti del terzo settore, altro problema annoso mai risolto definitivamente, ma non si è pronunciato sul 5 per mille.

In attesa del voto sugli emendamenti, che dovrebbe partire nella settimana del 9 dicembre, le associazioni continuano il pressing. “L’assenza di un provvedimento di adeguamento del tetto sarebbe un segnale negativo”, commenta Luca De Fraia, segretario generale aggiunto di ActionAid Italia e membro del coordinamento nazionale del Forum Terzo Settore. “Il 5 per mille è la libera e consapevole manifestazione della volontà di chi paga le tasse di girare un contributo a chi svolge attività di interesse generale. Perché non rispettarla? La cifra in gioco non è significativa per lo Stato, ma per le associazioni è molto importante”.

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Nuovo appello del terzo settore al governo: “Il passaggio al regime Iva va rinviato, sarebbe un colpo insensato al non profit”

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